Razza, Suolo, Lavoro, Reich, Onore. Le fondamenta giuridiche della Germania nazionalsocialista. Di Hans Frank

Pubblicata a Milano nel 1939 da Giuffré Edizioni, l’opera Le fondamenta giuridiche della Germania nazionalsocialista di Hans Frank – riproposta qui a titolo di studio – rappresenta la summa del pensiero giuridico e ideologico del nazional-socialismo, nel quale si integrano postulati e assiomi differenti rappresentati dalla Razza, dal Suolo, dal Lavoro, dal Reich e dall’Onore. Con la denazificazione attuata in Germania dopo il 1945, tutte le copie in lingua tedesca di quest’opera – assieme a molti altri libri – andarono distrutte. La riproponiamo qui, a più di ottant’anni di distanza, in forma integrale. Buona lettura!


1.

L’ora solenne, nella quale noi festeggiamo il quinto anno di vita dell’Accademia per il diritto tedesco, ci offre l’occasione di occuparci, esaminandone gli aspetti fondamentali, di uno dei più gravi problemi fra quelli che la nostra Accademia ha lo scopo di studiare, e cioè della scienza giuridica tedesca nelle sue relazioni con la storia culturale del nostro tempo. Proprio i compiti assegnati dal Führer al nostro Ente e quanto questo ha fatto ci autorizzano a constatare che la scienza giuridica di Adolf Hitler esercita un’influenza sulla legislazione del Reich e sui principi dell’applicazione del diritto che prima non poteva esserle riconosciuta. E l’Accademia per il diritto tedesco può affermare che la ragione di questo felice sviluppo risiede proprio nella correlazione fra i postulati scientifici e le necessità della legislazione. In nessun sistema statale del mondo vi è oggi questa comunità di lavoro, legislativamente assicurata, fra scienza e legislazione, quale noi la possediamo stabilmente in Germania in forza delle strette relazioni di tutti gli uffici del Reich e del Partito con le istituzioni dell’Accademia per il diritto tedesco. Noi lo dobbiamo alla personalità del nostro Führer Adolf Hitler se anche i punti di vista più divergenti sono stati subordinati al motivo dominante dell’interesse della collettività. Da ciò deriva che, mediante la profonda indagine storica della scienza del diritto, la chiara formulazione e la formulazione unitaria, logica e armonica, dell’edificio legislativo, vengono ad essere eliminate tutte le difficoltà che la vita, nelle sue multiformi prove, oppone al legislatore.

La posizione storico-culturale della scienza del diritto nel Reich di Adolf Hitler è condizionata dalla nuova formulazione rivoluzionaria dei principi fondamentali della vita sociale, che rappresenta, per il suo punto di partenza, oltreché per il suo contenuto e i suoi fini, la più grande rivoluzione della storia universale. È intuitivo pertanto che la scienza del diritto, nell’occuparsi delle gigantesche creazioni del legislatore rivoluzionario, deve procedere con sistemi e da concetti diversi da quelli di prima. Il legislatore si ispira ai bisogni dell’epoca, di cui egli deve realizzare le finalità. La scienza del diritto è, nei suoi presupposti ideali e nell’impostazione dei suoi compiti, un’entità costante. Essa presuppone senz’altro, nella sua indagine storica, la mutevolezza delle leggi dello Stato e la ricerca nel fondamento indistruttibile e permanente dell’idea del diritto, del sentimento giuridico e dell’aspirazione alla giustizia della comunità nazionale. Le leggi passano, il diritto è eterno, per quanto lo può essere l’umana cultura. Una scienza del diritto, nel senso più elevato, sussiste perciò soltanto quando, anche nel suo lavoro formale, nel commento delle leggi, nell’interpretazione degli articoli, essa sappia mantenere il contatto con l’eterna idea del diritto e con l’immortale idea di giustizia.

L’Accademia per il diritto tedesco ha considerato fin dall’inizio la posizione della scienza giuridica tedesca con orgoglio, con grandezza e con dignità. All’idea del diritto è stato assicurato in questa Accademia un posto degno della grandezza storico-culturale veramente unica del pensiero giuridico. Conseguentemente, l’esame della posizione storico-culturale della scienza giuridica tedesca di oggi si inizia col solenne riconoscimento dell’idea del diritto, quale una delle più nobili espressioni dello spirito umano. Il senso giuridico pervade tutti i popoli di buona razza e la storia universale delle nazioni, come una forza invisibile, ma che si apre la via con decisa volontà. Il Führer ha basato la sua lotta per la libertà del popolo tedesco sull’immortale sentimento giuridico del nostro popolo. Questo è un elemento veramente germanico della Rivoluzione del Nazionalsocialismo. Il mondo puramente formale, il vuoto commentare e l’improduttivo lavoro cartaceo ci sono estranei. Noi non abbiamo nulla in comune con coloro che, della cultura del diritto, hanno fatto un culto dell’astrazione, e della necessaria sistematica elementare, un giuoco di soprastrutture formalistiche.

Dietro le leggi del nostro Reich sta pertanto l’idea del diritto come grande ordinamento direttivo della nostra collettività nello Stato. In questa idea del diritto, Governo e popolo devono sentirsi indissolubilmente uniti. Sventura a quello Stato che, infrangendo il sentimento giuridico del popolo, deve costituire, basandolo sull’arbitrio e sulla violenza, un regime di costrizione, forse abbastanza saldo nel senso tecnico-materialistico, ma all’interno moralmente fradicio. Ciò distingue la Rivoluzione Nazionalsocialista dal suo più accanito antagonista, il bolscevismo ebraico; lì, l’atto violento viene elevato a principio della formazione statale e, come sempre si è reso necessario nella storia, si tenta di tenerlo vivo con violenze sempre maggiori. Qui in Germania, sorge dall’aspirazione del popolo per la libertà e la parità di diritti nella lotta delle nazioni, la figura giuridica del Legislatore della Rivoluzione Nazionalsocialista, Adolf Hitler, che, nella sua qualità di plenipotenziario generale di questo popolo, garantisce il sicuro trionfo dell’ordinamento giuridico in un forte impero. Quanto il Führer sia compreso di questa idea del diritto, lo dimostra magnificamente il costante favore col quale egli segue i lavori dell’Accademia per il diritto tedesco.

Su questa base – e noi siamo lieti di poterlo affermare – il Nazionalsocialismo riconosce l’esistenza di una scienza del diritto. È un’opinione da gran tempo superata, e del resto mai seriamente sostenuta, che non esista una vera scienza del diritto. I maggiori esponenti del pensiero giuridico tedesco hanno invece sempre esattamente riconosciuto che anche il diritto è oggetto e contenuto di indagine e di teorie scientifiche nel quadro della struttura generale del lavoro scientifico.

Il diritto è per noi l’ordinamento autoritario della vita sociale che promana dal popolo e alla cui realizzazione partecipa lo Stato impiegandovi la propria organizzazione d’imperio. Il primo fondamento della scienza del diritto è dato per noi dall’idea del diritto quale base storico-universale della formazione della comunità statale di tutti i popoli degni di questo nome, e come base sociale della vita nazionale dei cittadini entro i confini di uno Stato. Provvida quella legislazione che sa mantenere l’ordinamento sociale col pieno rispetto del sentimento giuridico dei cittadini, in modo che questo popolo possa raggiungere sempre meglio le finalità assegnateli dal destino. Per noi nazionalsocialisti, il popolo è per sé stesso un ordinamento primario dato da Dio. Lo Stato deve servire come organizzazione umana questa comunità a lui affidata dalla Provvidenza. Il popolo non esiste per fare da contenuto ad uno Stato, ogni Stato ha invece diritto alla vita soltanto e finché sappia servire, come mezzo a scopo, il popolo a lui affidato. Non esiste alcuna autosovranità dello Stato che possa elevarsi, come principio superiore, al disopra dell’esistenza naturale di un popolo. Ogni popolo ha pertanto il diritto originario di formare la propria organizzazione statale nel modo necessario alla propria esistenza. Le rivoluzioni sono, da questo punto di vista, dei complessi energetici a sé stanti, che comprimono in un solo atto storico il decorso di un lungo processo evolutivo giuridico di un popolo, o per compensare una lunga esitazione del legislatore nell’adattare le proprie leggi all’evoluzione e ai bisogni del popolo, o per approntare, con un potente slancio creativo, i pieni poteri per una completa ricostruzione dello sviluppo nazionale. Una “Rivoluzione” è degna di questo titolo onorifico soltanto quando, senza preoccuparsi del decorso esteriore del proprio divenire storico, accomuna l’energia di governo e quella legislativa con le idealità di un nobile sentimento nazionale e con la maturità storica capace di assicurare la vita e l’elevazione del popolo. Una vera rivoluzione non può sorgere che dall’idea del diritto. In questo senso è esatto dire che la politica è una funzione del diritto. È soltanto dall’attività legislativa di un nuovo governo giunto al potere mediante un’azione rivoluzionaria che si riconosce se una rivoluzione è veramente vittoriosa politicamente e ha un solido fondamento ideologico. Le caratteristiche della rivoluzione non sono le barricate, né il governo del terrore e nemmeno la conquista violenta del potere; se dovessero avere valore soltanto questi argomenti, l’assunzione al potere di Adolf Hitler non sarebbe una rivoluzione. Adolf Hitler fu infatti nominato Cancelliere del Reich dal Presidente del Reich [Paul von Hindenburg] con l’applicazione delle forme costituzionali legali e col pieno rispetto delle regole parlamentari, quale Capo del Partito di gran lunga più forte dell’allora Repubblica di Weimar. Essenziale è invece il lavoro legislativo, creativo e riformatore. La rivoluzione si riconosce dal contenuto delle leggi, non dalle tirate oratorie o dalle decisioni di comizi.

Questo è il primo punto di vista dal quale si deve considerare la posizione della scienza giuridica tedesca in quest’epoca. Come tale, la scienza giuridica deve muovere dal momento storico della chiamata di Adolf Hitler a Cancelliere del Reich, il 30 gennaio 1933, quale inizio della Rivoluzione Nazionalsocialista, nel senso ideologico-giuridico. Questo è l’avvenimento più importante della storia generale, e come tale è naturalmente di straordinaria rilevanza per la formazione della scienza giuridica. E a questo proposito vorrei sottolineare che Adolf Hitler non ha assunto il potere in Germania per la realizzazione di una teoria statale, o di una qualsiasi teoria che altri gli abbiano prima suggerito o formulato. Adolf Hitler si è conquistato il Governo del Reich con un processo di autocreazione, cioè con la fondazione del Partito Nazionalsocialista da lui guidato alla vittoria, il cui programma è da allora il punto di partenza dell’orientamento spirituale, politico e culturale del popolo tedesco.

Ma l’idea del diritto che anima la Rivoluzione Nazionalsocialista, io la vedo nel pensiero giuridico eroico di conquistare e assicurare al popolo tedesco la parità di diritti nella convivenza di tutte le nazioni. Sarebbe impossibile sviluppare una scienza giuridica in un popolo che dovesse rimanere umiliato nel suo più profondo sentimento giuridico dal mantenimento forzato di sopraffattrici condizioni di pace. Il peggio dei cosiddetti trattati di pace del 1919 è che essi abusano della forma legale e del concetto di convenzioni, conchiuse secondo il diritto internazionale per mascherare i più terribili atti di violenza che la storia ricordi contro popoli sconfitti in guerra. La vittoria di Adolf Hitler nella lotta per la parità di diritti del popolo tedesco è la conferma grandiosa della sua chiamata quale supremo rappresentante del diritto del nostro popolo tedesco. Da questa vittoria viene anche quell’ottimismo idealistico che suscita nuovi impulsi in tutta la vita giuridica del nostro popolo.

La chiamata rivoluzionaria del Führer risulta altresì dal contenuto creativo delle sue leggi. Difronte alla legislazione veramente rivoluzionaria, in senso storico-universale, di Adolf Hitler, è naturale che la posizione storico-culturale della scienza giuridica tedesca dovesse essere completamente riveduta. Come tutti i grandi legislatori della storia universale, anche Adolf Hitler ha dato per contenuto alle proprie leggi i più elementari riconoscimenti delle necessità di vita di un popolo.

Il Legislatore Adolf Hitler ha determinato il nuovo contenuto della scienza giuridica tedesca secondo cinque grandi direttrici: 1) RAZZA; 2) SUOLO; 3) LAVORO; 4) REICH; 5) ONORE.

Essi sono i valori sostanziali del popolo. Nel loro insieme, esse rappresentano il concetto di Popolo e di Reich. Nella loro valorizzazione legislativa del Terzo Reich è insito un nuovo aspetto storico universale del pensiero scientifico giuridico.

Il concetto di Razza entra per la prima volta con forza decisiva nella storia del diritto. La legislazione razziale di Adolf Hitler, contenuta nella legge sulla cittadinanza tedesca e nella legge per la difesa del sangue tedesco e dell’onore tedesco del 15 settembre 1935, con le sue numerose disposizioni complementari, non è affatto determinata dall’odio per la razza ebraica o per un’altra razza. Essa è stata dettata esclusivamente dall’amore per il popolo tedesco, e fondata sul riconoscimento della necessità che l’osservanza delle leggi razziali, dei dati naturali di un popolo, dovesse finalmente divenire legge dello Stato, se non si voleva che il nostro popolo si avviasse definitivamente e senza rimedio ad una decadenza sempre maggiore per decomposizione razziale. A tutela della sanità dell’organismo del popolo tedesco fu emanata, il 14 luglio 1933, la legge sull’eugenetica, per la quale gli affetti da malattie ereditarie vengono eliminati dal processo di riproduzione, mentre la legge del 18 ottobre 1935 per la tutela della sanità ereditaria del popolo tedesco ha approntato il mezzo legale per impedire, con una serie di divieti, i matrimoni non desiderabili. Il contenuto di questa legislazione razziale del popolo tedesco è il seguente:

1) devono essere prese tutte le misure, a disposizione di un legislatore, per evitare per sempre ogni ulteriore commistione del sangue tedesco con sangue straniero;

2) si deve assicurare che i prodotti inferiori di atti di riproduzione non desiderabili sotto l’aspetto eugenico-razziale non possono a loro volta proliferare.

Così si è giunti al diritto razziale del Terzo Reich, che ha infranto per sempre il predominio dell’elemento ebraico in tutto il campo della nostra vita sociale e che ha dato formulazione legislativa alla tutela eugenica della razza, ossia alle misure concernenti la sanità ereditaria.  E naturalmente, anche il concetto, fondamentale per lo Stato, dell’appartenenza al popolo tedesco, ha avuto una formulazione giuridica completamente nuova. Un ebreo non può essere cittadino del Reich. Il popolo tedesco non è più come per le legislazioni precedenti del Reich tedesco, il mero concetto comprensivo dei suoi appartenenti allo Stato; esso è stato invece liberato, secondo la volontà del Legislatore nazionalsocialista, dai corpi razziali estranei. È chiaro che questo diritto razziale è appena nella fase del suo primo sviluppo scientifico. Né può fare meraviglia, data la novità assolutamente rivoluzionaria della legislazione nazionalsocialista, che contro di questa vengono mosse sempre nuove obiezioni dai circoli giuridici di ogni specie e di ogni paese. Ma deve essere affermato decisissimamente che questo diritto razziale del Terzo Reich è uno degli elementi fondamentali della Rivoluzione Nazionalsocialista; ed è ugualmente certo che esso diventerà sempre più uno degli aspetti più elevati della scienza giuridica tedesca.

Nel diritto razziale è insita anche l’estensione massima del concetto generale di diritto. È da quel diritto che deriva la possibilità di un atteggiamento veramente sovrano di un popolo. Con l’orgoglio dell’idea razziale non è compatibile un orientamento giuridico servile.

Un popolo che realizza nella propria legislazione la propria idea razziale, non potrà essere felice che in un Reich che goda la piena parità di diritti con i più forti Stati di questa terra. Esso si allineerà nella suprema categoria di ogni valutazione nazionale o rinuncerà alla vita. Ma non tollererà la servitù.

Dal concetto del diritto razziale deriva inoltre un fondamentale orientamento idealistico di tutta la scienza giuridica. Ogni qualvolta una generazione del nostro popolo sentirà di essere soltanto uno stadio intermedio nell’evoluzione millenaria di una forza nazionale, questa generazione vorrà che la sua esistenza sia onorata difronte al passato e difronte al futuro. Ciò non potrà mai avvenire in modo economico-materialistico. Il pensare secondo concetti giuridici alla maniera dell’astuto ebreo, che non ricerca nelle leggi dello Stato, del quale egli è ospite, se non il mezzo per la sua attività economica, non è conciliabile con l’ordinamento giuridico del Nazionalsocialismo. Le leggi del Terzo Reich devono portare all’annientamento del reo. Ma non devono essere un impaccio causidicamente paragrafato per il membro del popolo leale e onesto. Esse devono, al contrario, assicurargli la sua libertà. La regola interpretativa di questo diritto nazionalsocialista non è pertanto la sopraffazione del singolo, bensì l’aiuto a questo, perché serva la comunità. Il Legislatore nazionalsocialista riconosce, in funzione sociale d’importanza generale, la proprietà privata e la libertà di contrattazione, come pure l’iniziativa individuale, formatrice della vita del singolo. In un ordinamento giuridico fondato sul diritto razziale germanico, il membro del popolo non è un suddito intimidito che si torce dalla paura, bensì un coartefice dritto e fiero del destino comune, conscio della propria libertà. Egli sa che nessuno potrà impunemente arrecargli torto sul suolo del Reich tedesco. Non la Čeka del bolscevismo, non l’Ochrana, tenebrosamente dominante, del regime zarista, non il sistema delle lettres de cachet di Luigi XIV possono essere il sistema di governo di un popolo che si appoggia al diritto razziale, bensì soltanto quell’ordinamento giuridico determinato dalla legislazione del Führer nazionalsocialista e dal giudice popolare, che giudica ispirandosi all’indistruttibile senso di giustizia del proprio popolo. Il diritto razziale non è compatibile che con un popolo libero, e libero è quel popolo che segue un capo per la coscienza della comunità del destino e dell’ordine giuridico assicurato. A questo il Nazionalsocialismo educa il popolo tedesco.

Per questo, proprio in nome della tradizione giuridica germanica, deve essere rivolto nel Terzo Reich l’appello anche alla scienza, perché collabori alla lotta per l’attuazione dell’idea del diritto. La scienza giuridica del Terzo Reich non può dichiararsi soddisfatta nel quadro di un’indagine o di un insegnamento meramente accademico, il cui pregio fosse determinato forse dalla sua astrazione dal mondo; essa deve stare invece in primissima linea nella battaglia per l’attuazione e la realizzazione della volontà legislativa di Adolf Hitler. Io devo dichiararlo proprio qui: chiunque osasse di compiere in Germania azioni illecite, di violentare il diritto, di infrangere una norma giuridica, offenderebbe non soltanto l’idea del diritto e il sentimento giuridico del nostro popolo, ferirebbe non soltanto l’immortale ideale giuridico germanico, no, egli offenderebbe il Führer quale supremo Legislatore e supremo garante della comunità giuridica. Per questo la scienza del diritto non si deve appoggiare soltanto sui docenti e sugli studiosi, ma anche sui mistici del diritto.

E così, nell’esaminare la posizione storico-culturale, io vedo salire la scienza giuridica tedesca dall’idea razziale di un popolo, che non desidera di vedere la propria esistenza confermata in valori transitori e materialistici, ma aspira invece a entrare nella storia del mondo come latore e realizzatore delle più alte opere ideali di civiltà.

Il secondo grande valore sostanziale elaborato dalla legislazione di Adolf Hitler è il Suolo. La legislazione terriera del Nazionalsocialismo tende a due grandi mete:

1) la ricostituzione e il mantenimento del ceto dei contadini, come ceto al quale sono affidati compiti nazionali importantissimi;

2) la garanzia del possesso del fondo nelle famiglie a ciò chiamate.

Questo è avvenuto con la legge sul pudore ereditario del 29 settembre 1933, con l’istituzione dei poderi ereditari che garantiscono per sempre l’esistenza delle famiglie dei contadini. La legislazione nazionalsocialista ha riaffidato al contadino la missione altamente onorifica di assicurare la continuazione e di salvaguardare il sacro suolo del nostro popolo, sempre difeso dalle generazioni con nuovi sacrifici di beni e di sangue. L’avere sottratto la terra alla speculazione commerciale e al frazionamento ereditario, è stata la salvezza dei contadini tedeschi. Messa in relazione con le misure generali politico-economiche del Terzo Reich nel campo delle dogane, dei trattati commerciali e dei prezzi fissi per i prodotti agrari, questa è una misura rivoluzionaria di prim’ordine. Che il podere ereditario, saldo nel possesso di una famiglia onorata e al sicuro da ogni attacco, abbia trovato una sistemazione definitiva, significa anche per la struttura generale della nostra vita nazionale avere acquisito un saldo fondamento sociale, di sangue ed economico. Il diritto agrario del Nazionalsocialismo è una delle prime realizzazioni immediate del programma di Partito di Adolf Hitler.

Si comprende da sé che, con questo, si è creata una situazione completamente nuova per la scienza del diritto, rispetto alle forme della vita nazionale. Come il diritto razziale esercita un’influenza decisiva soprattutto sulla metodica del diritto, così il diritto agrario apporta radicali modificazioni alla sistematica del diritto. Al centro della scienza giuridica nazionalsocialista non sta più l’individuo, che, atomizzato nel confusionario andirivieni e negli antagonismi liberalistici, aveva degradato la vita nazionale a un’arena per tenzoni singolari ed egoistiche. Caratteristico è invece un ordinamento di composizione dei divergenti interessi dei singoli, attuato programmaticamente e assicurato dall’alto in maniera autoritaria ma pacifica. Il bene comune prima del bene individuale! Questo è il grido di battaglia della Rivoluzione nazionalsocialista. Il singolo vale in ragione del servizio che rende al proprio popolo; questa è la rivoluzione del diritto civile. Da un ordinamento giuridico che si occupava, come massima suprema, delle pratiche della soluzione di un sistema di liti individuali, accettato in sé come immutabile, nel modo meno pericoloso possibile per la comunità, si è giunti oramai a un ordinamento giuridico che affronta direttamente questa sfera di litigiosità. Al Legislatore nazionalsocialista non interessa tanto la lite di A contro B, quanto, e molto di più, il problema se non sia possibile eliminare la cagione stessa della lite. Ed è molto importante per l’ulteriore sviluppo di questa idea che noi abbiamo per questo un forte punto di appoggio nel diritto agrario.

Anche qui non siamo che al principio. Anche qui sogliono esserci mosse obiezioni di ogni specie. Si parla del carattere, refrattario alle innovazioni, del contadino, che si vuole far passare per materialista; di un legittimo trattamento preferenziale difronte ad altre categorie sociali. Ma il Legislatore nazionalsocialista ha tratto in questo campo, da un’indagine che si è estesa ai millenni e ai continenti, una conseguenza saldissima. Anche qui vi era l’esempio pauroso di potenze mondiali, decadute come nazioni a seguito del decadimento del loro ceto agrario. Il Legislatore nazionalsocialista ha dato in questo campo alla scienza del diritto un concetto assolutamente nuovo. Il valore sostanziale del Suolo si affianca a quello della Razza come il secondo grande risultato di un nuovo orientamento giuridico scientifico.

Il terzo concetto rivoluzionario è quello del Lavoro nazionale. Esso elimina le formazioni di gruppi, basate sugli interessi e considerate tipiche nel XIX secolo, fra datori di lavoro o capitalisti da una parte, e prestatori d’opera o proletari dall’altra. Esso si fonda esclusivamente sul criterio informatore del rendimento del lavoratore del pensiero e del braccio. Lo scopo della legislazione nazionalsocialista del lavoro, quale esso risulta particolarmente dalla legge per la disciplina del Lavoro nazionale del 20 gennaio 1934, è il seguente:

1) concepire il Lavoro nazionale come un onore, e affratellare in esso tutti i cittadini produttori che collaborino comunque attivamente ad assicurare le esigenze di vita e a elevare il tenore di vita di tutto il popolo tedesco;

2) aumentare la capacità lavorativa complessiva del popolo tedesco, considerato come un tutto economico e unità politico-economica.

Doveva pertanto eliminarsi anzitutto il dilaniamento del popolo nel campo del lavoro in gruppi di forze, contrastantisi nella lotta di classe e ligi alle supreme direttive delle grandi organizzazioni che, con i conflitti per le tariffe, con gli scioperi, le serrate e la lotta delle forze politico-economiche, distruggevano la civiltà del lavoro e la vita economica della nazione.

Anche qui è evidente che, alla legge sul Lavoro nazionale, è collegata una totale trasformazione del pensiero giuridico, poiché questa legge ha avuto come conseguenza un completo soddisfacimento del processo del lavoro nel suo aspetto sociale, e l’utilizzazione totale di tutte le energie lavorative per il raggiungimento di un unico scopo, nel suo aspetto economico-nazionale. Il diritto del lavoro delle epoche anteriori si fondava sul concetto liberalistico che le condizioni del lavoro dovessero essere conquistate nella libera concorrenza, e sull’assoluta mancanza di programma nel governo economico. La posizione giuridica del lavoratore era determinata esclusivamente dalla condizione che gli derivava da un contratto individuale di lavoro o da un generale accordo di tariffe. La mentalità della lotta di classe fu la conseguenza del fallimento degli ordinamenti giuridici borghesi, come del capitalismo economico liberale e del servilismo proletario marxista. Anche nel campo del lavoro non esistono delle strutture sociali internazionali di classi, estendentisi per tutto il mondo, ma esiste soltanto l’energia lavorativa del popolo nell’ambito nazionale. Il lavoratore ha pertanto il pieno diritto di allinearsi nella prima categoria sociale della comunità. La sua attività partecipa in modo creativo alla formazione del destino della comunità. L’obbligazione della comunità verso di lui deve trovare la sua espressione nel suo diritto. Per questo non può esistere un diritto dei datori di lavoro e un diritto dei prestatori d’opera, ma soltanto una ripartizione, secondo il bene comune, dei frutti del lavoro, fondata sul principio della giusta partecipazione e della compensazione. Il lavoratore ha difronte alla comunità una pretesa giuridica al collocamento della sua attività lavorativa in quella generale economica del suo popolo, e alla corrispondente partecipazione alla produzione generale. La scienza del diritto deve riconoscere da questo diritto del lavoro del Terzo Reich la propria funzione direttiva sociale, perché essa deve collaborare all’evoluzione dal pensiero individualistico a quello collettivo. Non esiste una società al di fuori della totalità del popolo, rappresentato dai componenti. Nel nostro popolo non esistono più raggruppamenti feudali, o aristocratici o comunque privilegiati per tradizione storica e per speciali diritti. Non esistono né famiglie, né classi privilegiate. Esiste un popolo tedesco unitario, che comprende nella sua schiacciante maggioranza i compagni che lavorano nello Stato, nel Partito e nell’economia. Il concetto giuridico del lavoro si fonda nel Terzo Reich sulla politica economica programmatica del Governo del Reich, e trova il proprio contenuto nella tendenza del Nazionalsocialismo alla pacificazione e all’educazione sociale e ad aumentare la capacità produttiva. Esso racchiude in sé la penetrazione reciproca di tutti gli strati culturali e di tutte le categorie produttrici del nostro popolo, secondo uno schema unitario dei presupposti della rimunerazione e dell’assicurazione della vita individuale. Non esistono quindi più, nel campo del lavoro, quei criteri di valutazione che hanno portato prima a delle conseguenze giuridiche così insensate, per le quali il lavoro di un impiegato era valutato di più che non il lavoro della produzione economica, del commercio o dell’industria. Sarebbe vana fatica, dato il punto di partenza razziale dell’ordinamento giuridico e difronte all’unità sociale del popolo tedesco, come comunità di compagni cameratescamente uniti e tendenti al solo scopo del benessere comune, il volere mantenere delle differenze di rango di vecchio tipo. Il diritto del lavoro del Terzo Reich è pertanto il totale inquadramento di un popolo secondo l’esclusivo criterio valutativo dell’attività individuale, e il carattere di questa valutazione è determinato esclusivamente dall’importanza che il singolo ha per il suo lavoro per la comunità. In ciò sta la cancellazione completa di quei rudimenti che noi trasciniamo tuttavia qua e là, magari ancora sotto l’influsso medioevale della costruzione classista delle figure giuridiche del nostro popolo. Non vi è nel popolo tedesco ufficio più sacro di quello di potere vivere e operare per la comunità dei tedeschi, di potere mettere il proprio io al servizio di questa comunità. E non vi è sacrificio più alto che poter fare voto del proprio io al servizio del proprio popolo. Da questo diritto del lavoro del Nazionalsocialismo si irradia quindi un fluido della comunanza di destino di tutti gli strati del popolo tedesco. E proprio con ciò è dato il più grandioso sviluppo del lavoro intellettuale in tutti i campi della cultura, come massimo valore ideale della comunità. Il membro del popolo, produttore intellettuale nel campo artistico e scientifico, ha pertanto anche il diritto alla massima tutela personale e professionale.

La scienza del diritto del lavoro non può dunque essere la rappresentante dei fattori di divisione né di interessi economici contrastanti; essa non può che annunciare e formare la volontà giuridica del Reich, di attuare i piani economici, la pace, la giustizia sociale e la partecipazione di tutti alle opere comuni. L’attenzione degli studiosi del diritto del lavoro non deve pertanto polarizzarsi sul contratto di lavoro, bensì sul lavoratore come membro del popolo e come avente diritto a partecipare alla produzione economica nazionale. Il diritto al lavoro è il più spiccato diritto della personalità del membro del popolo del Terzo Reich. Il Reich si è assunto solennemente questo obbligo e lo ha anche attuato: assicurare ad ogni membro del popolo la parte di lavoro che gli spetta e costruire la relativa garanzia giuridica.

Al di sopra della Razza, del Suolo e del Lavoro, si eleva il Reich.

Questo Reich, da più di un millennio sinonimo dell’idea di Stato del nostro popolo, è risorto a nuova potente grandezza sotto il Führer Adolf Hitler. Esso è la figura statale del nostro popolo nella storia universale. Noi tedeschi entriamo in contatto col mondo attraverso questo Reich. Vediamo in esso il punto di partenza della legislazione e la garanzia dell’ordinamento della nostra comunità. Questo Reich tedesco ha trovato sotto il Nazionalsocialismo la forma giuridica dello Stato unitario, ossia per la prima volta nella sua storia non c’è sul suolo del popolo tedesco che un solo legislatore nella persona del Führer.

La scienza del diritto pubblico del Terzo Reich deve quindi muovere dall’unità del Reich. La costituzione in senso formale consiste nell’intima organicità della legislazione di Adolf Hitler, le cui finalità e la cui interpretazione sono assicurate mediante la realizzazione del programma del Partito. Anche se non venissero emanate altre risoluzioni o formulazioni legislative in aggiunta alle leggi già promulgate dal Terzo Reich nel campo della propria struttura giuridica, non si potrebbe oggi più dubitare, considerando i risultati dei cinque anni di governo del Führer, dei seguenti chiarissimi elementi del Reich, sotto l’aspetto scientifico-giuridico:

1) a capo del Reich sta a vita il Führer del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, come Führer del Reich tedesco;

2) egli è in forza della sua qualità di Führer del Partito e Führer e Cancelliere del Reich. Come tale, egli personifica allo stesso tempo il supremo potere statale come Capo dello Stato e la funzione centrale dell’amministrazione complessiva del Reich come Capo del Governo. Egli è, in una sola persona, Capo dello Stato e Capo del Governo. Egli è il Comandante supremo di tutte le Forze Armate del Reich;

3) il Führer e Cancelliere del Reich è il delegato costituente del popolo tedesco, e determina, senza riguardo a presupposti formali, la configurazione della forma esteriore del Reich, il suo sviluppo e tutta la sua politica;

4) il Führer è il giudice supremo della Nazione. La scienza del diritto pubblico del Terzo Reich non è dunque più una scienza delle relazioni fra i cittadini dotati di diritti pubblici subiettivi da una parte, e i rappresentanti dello Stato gravati dei correlativi doveri dall’altra, bensì è la dottrina di un ordinamento basato sull’elemento personale della fedeltà di un popolo al seguito del Führer da lui legittimato. L’essenza dell’idea statale del Terzo Reich non consiste nel conferimento formale dei pieni poteri, nella legittimazione secondo le regole costituzionali rappresentative, o nel potere di governo limitate dalle votazioni di maggioranza; essa risiede invece nel governo del popolo, attuato naturalmente da un Uomo, con le sole limitazioni della propria coscienza. Ogni membro del popolo è uguale come rango. Non ce né che uno che si eleva al di sopra di questo piano, e questo è il Führer. Tutti coloro che agiscono nel nome del Führer, agiscono al servizio della comunità. Le nomine, le variazioni di grado o le destituzioni avvengono esclusivamente ad opera del Führer. Un contrasto delle attività dirette all’interesse della generalità del popolo, non può naturalmente verificarsi, dato il principio della naturale unità personale dell’attività del Führer. Poiché tutto quanto avviene nel nome del popolo tedesco e non può essere compiuto che in nome del Führer, anche la giurisprudenza, come l’amministrazione e la legislazione, non possono essere esercitate che dal Führer in persona o in suo nome, ossia per suo incarico o col suo consenso. Nell’ambito giuridico statale del Terzo Reich non vi è alcuna posizione indipendente da questa elementare volontà del Führer. Fra i campi del potere pubblico non vi sono differenze di rango. Si tratti di politica difensiva, di politica economica, di politica del diritto, di educazione, di amministrazione di polizia, la vicinanza al Führer è dovunque la stessa. Poiché il Führer rappresenta nella propria persona la totalità della vita del popolo, si rende possibile una ripartizione logica della sua competenza secondo criteri di opportunità.

Il Reich è oggi il mezzo di attuazione della volontà di governo rappresentata dal Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori. Il Nazionalsocialismo è l’espressione della volontà di organizzazione politica del popolo tedesco. Esso è la fede spirituale unitaria del popolo tedesco e il creatore della massima di Governo del Reich. Il rapporto del Partito Nazionalsocialista con l’amministrazione del Reich è quello del Sovrano verso le proprie istituzioni. Il Führer ha formulato questo rapporto come segue: «Non è lo Stato che comanda noi nazionalsocialisti, siamo noi nazionalsocialisti che comandiamo lo Stato».

Il Partito Nazionalsocialista deve fornire al Reich il necessario contenuto di volontà. Per il soddisfacimento da parte dello Stato dei propri postulati, il Partito si serve però esclusivamente del Reich e dei corpi amministrativi a questo subordinati (Länder, province, comuni…). Il Partito non ha pertanto la facoltà di intervenire direttamente nell’attività dei diversi organi del Reich, a meno che una tale facoltà non sia espressamente prevista dalla legge. Anche la volontà del Partito viene espressa nel campo statale soltanto dagli organi dello Stato. Il Partito sta al di sopra dello Stato per quanto attiene all’idea, all’orientamento spirituale e alla suprema massima di Governo. Ma il Partito sta accanto allo Stato con la propria organizzazione gerarchica. L’unità del Partito e dello Stato è pertanto un’unità di governo generale, basata sull’identica concezione politico-ideologica; non è necessariamente un’unità istituzionale né di funzionari. Il Partito ha nella struttura generale dell’ordinamento nazionale del Terzo Reich un compito elastico, chiarificatore e direttivo, suscitatore e ordinatore di idee. Sono compiti dello Stato la realizzazione e la garanzia della comunità mediante il potere autoritario dello Stato. Il Partito è una selezione ideale del popolo, battagliera e ispirata ai supremi valori ordinatori della comunità popolare; esso è l’ordinamento del Führer. Ma il Reich è la patria del popolo tedesco.

La scienza tedesca del diritto di Stato ha pertanto dinnanzi a sé i più importanti sviluppi veramente rivoluzionari. Il concetto della dittatura non può trovare applicazione al Terzo Reich, e così nemmeno quello di monarchia di marca cesarea, di repubblica, di oligarchia, né alcun altro fra i sistemi giuridico-statali finora esistiti. Lo Stato del Führer, come assioma della scienza nazionalsocialista del diritto pubblico, è un concetto informatore completamente nuovo. La Germania inerirà in futuro questo concetto del Führer nella propria storia con la stessa spontanea sicurezza con la quale ha già accettato in passato il concetto di re o quello di imperatore. Ma questo concetto del Führer non diverrà mai impersonale, poiché per la scienza del diritto pubblico del Terzo Reich è caratteristico il fatto che essa non rappresenta un sistema di competenze, bensì le relazioni dell’intero popolo tedesco verso una personalità creatrice della storia. Noi viviamo in un’epoca giuridica che prende nome dal Führer e da lui plasmata. Il Führer non si basa sugli articoli della Costituzione, bensì su opere gigantesche, espressione della fusione della vocazione con la dedizione di sé al popolo. Il Führer realizza una costituzione non secondo norme legali a lui segnate, bensì con opere di portata storica al servizio dell’avvenire del suo popolo. Nella scienza tedesca del diritto pubblico, entra così il più alto criterio organico che la storia del diritto possa fornire. Il diritto di Stato del Terzo Reich è la formulazione giuridica della volontà storica del Führer, ma questa volontà storica del Führer non è realizzazione di una condizione giuridico-statale preesistente alla sua opera. Se il Führer regni o meno secondo una costituzione formale scritta non è una questione giuridica di primo piano. La questione giuridica è soltanto se il Führer assicura con la propria azione la vita del proprio popolo.

Dopo gli avvenimenti rivoluzionari degli ultimi cinque anni, noi possiamo pertanto constatare che:

1) la scienza del diritto di Stato del Terzo Reich si fonda sulla funzione primaria del popolo tedesco come unità dei membri di uguale sangue nati nella nazione;

2) lo Stato unitario tedesco è al servizio di questo popolo e garantisce al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, che rappresenta il popolo nei suoi bisogni elementari, la potenza necessaria per la realizzazione del suo programma;

3) lo Stato del Führer si fonda sull’unità del Capo del Partito e sulle sue competenze a vita come Capo supremo dello Stato, come Capo del Governo, come Comandante supremo, come delegato costituente del popolo tedesco e come giudice supremo;

4) non ha luogo lo spezzettamento del potere del Governo voluto dai membri del popolo, secondo i principi della divisione dei poteri;

5) l’indipendenza dell’amministrazione della giustizia significa applicazione dei pieni poteri del Führer nel campo delle controversie individuali, in esecuzione delle norme giuridiche generali del Reich, sul terreno e per la realizzazione del Nazionalsocialismo. Il giudice non è vincolato a disposizioni. Un’ultima decisione indipendente spetta, anche negli affari giudiziari, al Führer quale supremo giudice del Reich;

6) accanto al diritto dello Stato sta il diritto del Parlamento, la cui missione, di assicurare l’ordinamento interno del Partito Nazionalsocialista come proprio soggetto di diritti, va molto aldilà della competenza autonoma di una corporazione di diritto pubblico. Il diritto del Partito vale soltanto per i membri del Partito in tale loro qualità. Esso ha però il rango del diritto del Reich, perché promana, come questo, direttamente dal Führer. Il diritto dello Stato e il diritto del Partito si differenziano per la diversità del loro compito, del loro campo di applicazione e degli organi competenti per la loro attuazione.

Al disopra della Razza, del Suolo, del Lavoro e del Reich, risplende come quinto valore sostanziale e profondo contenuto della vita, l’Onore della nostra Nazione.

Questo Onore noi lo concepiamo come il dovere di ricollegare per tutti i tempi al nome dei tedeschi il più alto livello delle possibilità umane su questa terra. La finalità ideale di tutto il lavoro di Governo è il raggiungimento della consapevolezza che ciò che è disonorevole non è tedesco, e che l’idea di onore deve essere immanente in ogni tedesco. L’Onore è il significato di tutto il nostro lavoro, della vita del nostro popolo e dell’esistenza del singolo membro del popolo.

Contenuto di questa concezione dell’Onore è che il popolo tedesco, unito nella propria comunione popolare, compie insigni opere storiche, sociali e culturali, e pertanto non può mai accettare una menomazione della propria parità di diritti o del proprio sviluppo naturale.

Espressione di questa concezione è il ristabilimento della potenza difensiva tedesca con la legge per la riorganizzazione delle forze difensive del 16 marzo 1935 e la legge sulla difesa del 21 maggio 1935, come pure il riacquisto della piena sovranità territoriale del Reich, specialmente con la riannessione del territorio della Saar in base al plebiscito del 13 gennaio 1935, con la rioccupazione da parte delle truppe germaniche della zona già smilitarizzata sul Reno, annunciata dal Führer nella storica seduta del Reichstag del 7 marzo 1936, e il ristabilimento della sovranità del Reich sulle vie fluviali tedesche con la nota del 14 novembre 1936.

I presupposti dell’Onore non si formano secondo concezioni di categoria, di confessione religiosa, o comunque particolaristiche e superate, bensì esclusivamente secondo il principio che è onorevole quel comportamento, che, per il suo presupposto, per il modo di esplicarsi e per la sua ultima finalità, torni a vantaggio di tutto il popolo dei tedeschi. Né è decisivo al riguardo un effetto di utilità materiale. Vantaggio è qualche cosa che serve al compito complessivo nazionale. Difronte a tutti i pessimisti e ai profeti di rovine, vale quanto segue: c’è una ragione di vivere e precisamente quella di affermarsi dinanzi all’Eterno Creatore quali compartecipi dell’onore della comunità popolare. In questo idealismo sta la rinascita dell’umanità tedesca, passata attraverso la calamità di secolari lotte ideologiche. Noi viviamo come idealisti di quest’epoca. Noi non crediamo che il nostro popolo sia destinato, né ora né mai, alla distruzione, e in questa fede restiamo saldi, come energia fattiva, in tutte le irradiazioni della nostra vita nazionale. L’orientamento spirituale del Nazionalsocialismo non divide con nessun’altra potenza del mondo questa sua intima realizzazione dell’umanità tedesca. Il Tedesco è per sé stesso portato a un compito idealistico. Egli considera benedetta la propria vita, dedicandola all’adempimento del suo dovere nazionale. Dio valuta un popolo retto soprattutto dal fatto se esso ha saputo corrispondere o meno al suo originario compito razziale. Non c’è stato ancora esempio nella storia che un’altra cosa, al di fuori della comunità idealistica del proprio onore, abbia assicurato la vita ad un popolo. Né monarchie, né repubbliche, né sistemi basati su una fede, né la potenza esteriore delle costituzioni militari, né valori economici, hanno mai potuto salvare i popoli che si erano interiormente discostati dal compito loro segnato da Dio.

Anche per la scienza del diritto del Terzo Reich l’Onore è pertanto un concetto centrale essenziale.

L’Onore del popolo tedesco richiede che in tutte le leggi del nostro Reich sia contenuta la fedeltà come suprema affermazione dell’onore. La fedeltà è la realizzazione dell’Onore nazionale. Chi manchi alla fedeltà verso il popolo, il Reich, il Führer, il Partito e i membri del popolo, si rende indegno della comunità. Per questo il grande edifico dell’ordinamento giuridico borghese già esistente dovrà essere trasformato in un ordinamento di vita ispirato al cameratismo popolare. Il diritto penale dovrà essere essenzialmente un ordinamento per la punizione della mancanza di fedeltà. Anche tutte le questioni di categoria dovranno essere considerate da questo punto di vista. In tutti i campi del diritto della comunità sarà sempre l’Onore che ne costituirà il punto saliente.

Dopo aver passato in breve rassegna i cinque concetti fondamentali della dottrina dei valori sostanziali del Terzo Reich e la loro relazione con la scienza del diritto e la sua posizione storico-culturale, noi giungiamo alla conclusione che i problemi decisivi per le epoche storico-giuridiche anteriori sono oggi divenuti per noi completamente irrilevanti, e che, per contro, numerose nuove costruzioni rivoluzionarie necessitano di una sistemazione scientifico-giuridica e di un’elaborazione concettuale. La scienza giuridica del Terzo Reich si trova difronte a un immane rinnovamento della formulazione dei propri presupposti, del proprio contenuto, dei propri metodi, dei propri concetti e dei propri sistemi. È chiaro peraltro che la scienza del diritto deve tener conto oggi di numerosi dati biologici, culturali e storico-generali.

Inoltre, è evidente che i risultati della logica e della metodologia giuridica sono i fattori essenziali della scienza del diritto, nel senso tecnico suo proprio. Ma noi dobbiamo ricercare quale posizione debba assumere nel nostro tempo la scienza giuridica nell’elaborazione delle materie di sua competenza.

La critica al Legislatore è vietata alla scienza del diritto, così come lo è ai membri del popolo, strettissimamente legati al loro Führer dal dovere della fedeltà e dell’obbedienza. Non può però essere messo in dubbio che possa aver luogo, e con vantaggio, un’elaborazione scientifica delle questioni della legislazione e dell’applicazione del diritto, per il bisogno della certezza e della chiarezza del diritto. Sarebbe erroneo volere attuare una legislazione senza un siffatto apparato ordinativo concettuale-sistematico. È un servizio per il Führer se una forte scienza nazionalsocialista del diritto elabora i complessi essenziali dei problemi nel momento in cui le leggi sono in formazione. Le sezioni dell’Accademia per il diritto tedesco e il reparto per le ricerche di detto istituto sono costantemente all’opera in questo senso. Le leggi del Reich non devono contenere delle contradizioni, esse devono essere pervase soltanto da concetti unitari. La parola della legge deve essere comprensibile al popolo, chiara e degna di un forte Reich; l’applicazione delle leggi deve essere dovunque giuridicamente assicurata. La scienza giuridica nazionalsocialista deve sapersi conquistare con le proprie opere tale autorità, da poter essere considerata idealmente come la suprema fonte di interpretazioni delle leggi nazionalsocialiste.

Dall’unione della dottrina del pensiero giuridico con i riconoscimenti delle insopprimibili necessità del complesso popolare, dell’illustrazione dei concetti e della sistematica, la scienza del diritto trae la possibilità di concorrere a favorire il benessere del nostro popolo e del Reich. Compiendo esattamente il proprio dovere, essa contribuisce decisivamente all’ascesa della nostra vita giuridica.

La scienza giuridica ha inoltre il compito di fornire una rassegna della categoria dei legali come tale.

Al riguardo dovrebbe essere trattato l’ideale per il quale combatte il legale nazionalsocialista, la posizione di questo come dirigente sociale entro la comunità del proprio popolo, l’incremento del perfezionamento professionale e l’assicurazione del rifornimento dei quadri. E inoltre vi si aggiungerebbe l’illustrazione della scienza giuridica come professione, quella dell’educazione giuridica, la storia della letteratura giuridica e infine la creazione di una scienza della risoluzione delle controversie secondo la pratica giudiziaria.

Il metodo della scienza del diritto è lo stesso di ogni altra scienza: saper convincere con la forza del pensiero.

La vocazione per la scienza del diritto la possederà ogni tedesco di valore che senta nel proprio animo il profondo attaccamento alla comunità del destino del proprio popolo, che riconosca che il diritto deve servire, aldilà della possibilità e della durata della vita individuale, ad uno spontaneo, chiaro e sicuro regolamento totale dell’esistenza del popolo, e trovi per questo nel diritto la propria vocazione personale.

Lo scopo della scienza giuridica deve essere la chiarezza del diritto. Esso è dato pertanto anche dalla preparazione scientifica del giudice, che è al centro della vita giuridica e assicura al proprio popolo la fortuna di essere governato secondo l’applicazione del diritto.

Anche la scienza del diritto non può adempiere il proprio compito sociale se non inserendosi nel complesso della grande attività lavorativa del nostro popolo. Essa non ha un compito che risieda esclusivamente in sé stessa e non può essere che mezzo a scopo, e questo scopo è lo sviluppo dell’idea giuridica del Nazionalsocialismo.

La posizione storico-culturale della scienza del diritto in questo periodo risulta dunque dall’armonia dell’orientamento spirituale e della massima di Stato, della storia generale e della storia del pensiero, nella Rivoluzione Nazionalsocialista.

La storia del pensiero di ogni popolo presenta, come tale, tre grandi campi, tre avvenimenti: le rivelazioni, le glorificazioni e le illustrazioni.

La rivelazione è l’apparizione di una forza eroica che, senza appoggiarsi ad una qualsiasi causalità terrena, logica e definita, trasmette, da un campo in un primo tempo ancora non definito, il contenuto di una fede. La rivelazione suscita la fede nell’eroico e fonda e diffonde le religioni e gli orientamenti spirituali.

La glorificazione è la comunicazione artistica di un avvenimento dello spirito mediante l’opera di un maestro che suscita l’ammirazione.

L’illustrazione è l’attività di un capo spirituale, di un divulgatore che offre i risultati delle proprie meditazioni e che convince.

Dalla fede, dall’ammirazione e dal convincimento, dal fatto dell’eroe, dall’opera del maestro e dall’attività del divulgatore, sorge e si compone la storia spirituale di un popolo.

Noi vediamo pertanto così la posizione storico-culturale nel campo del diritto.  Noi crediamo alla forza unica, creatrice dello Stato, della rivelazione del Nazionalsocialismo. Noi ammiriamo l’arte del geniale Legislatore e siamo convinti della verità della dottrina di Adolf Hitler. La grandezza dell’idea nazionalsocialista del diritto sta nell’incarnazione dell’eroe, del maestro e del divulgatore nella sola persona di Adolf Hitler.


2.

Corrispondentemente a questa posizione storico-culturale, la scienza giuridica nazionalsocialista si libererà completamente da ogni legame metodico, sistematico e scolastico con le manifestazioni della precedente storia del diritto. Né la scuola del diritto naturale, né la scuola storica del diritto, né la dottrina giuridica materialistica, né la dottrina del giusto diritto, né la dottrina giuridica sociologica, né quella del diritto libero, come nessun altro sistema può essere utilizzato dalla scienza giuridica nazionalsocialista. Noi non vogliamo indugiarci nella critica di questi sistemi. Essi sono tutti falliti, così come i grandi apporti scientifici di queste scuole. Essi erano infatti tutti soltanto applicazioni di un formalismo giuridico nel campo dell’intelligenza, senza legame col popolo. Nel novembre 1918 si è infranta in Germania questa forma divenuta priva di contenuto, poiché anche i sistemi giuridici non si misurano secondo una “esattezza” astratta, immanente, formale, bensì in ultima analisi esclusivamente dalla loro affermazione storica. Noi diamo atto volentieri che degli uomini grandi e degni furono i fondatori di queste scuole o ad esse si formarono. Felici della nostra unità tedesca finalmente conseguita, noi non guardiamo con disprezzo alle tremende lotte del pensiero sostenute dal nostro popolo nelle epoche anteriori.

Noi proclamiamo ormai la scuola giuridica tedesca, fondata sul pensiero tedesco, dedicata al servizio dell’azione tedesca. Essa è la scuola del diritto sostanziale dello Stato del Führer, dunque del diritto tedesco alla vita. Essa è la forma con la quale il Nazionalsocialismo si costruisce la propria scienza del diritto. Poiché noi portiamo dentro di noi la grande fede della vocazione tedesca, questa scienza del diritto non può avere quella fredda obiettività né quella tanto vantata libertà nella valutazione dei valori, delle quali in altri tempi la scienza faceva volentieri sfoggio. Noi sappiamo oggi che la scienza del diritto, nelle sue ricerche e nel suo insegnamento, non si fonda soltanto sul criterio di valutazione, ma che deve muovere da questo. Il dovere della scienza giuridica nazionalsocialista consiste nel servire il Reich di Adolf Hitler. L’obiettività della scienza non era che una circonlocuzione del disagio derivatele dall’incapacità di acquisire, nei caotici subiettivismi dei tempi anteriori, una qualche base sicura, senza ledere questo o quello. Oggi la scienza del diritto è libera. La sua obiettività si identifica con la subiettività propria di tutti i membri del popolo, per cui il Reich di Adolf Hitler è divenuto e resterà la fondamentale comunità di destino del nostro popolo. La scienza del diritto è oggi in condizione di fare atto di fede politica. Lo scienziato tedesco del diritto è politicamente un nazionalsocialista, egli crede nel proprio popolo e sa di collaborare all’avvenire del Reich. È superata la separazione fra la sfera politica e quella scientifica. Le conclusioni del pensiero giuridico, dell’indagine giuridica e della dottrina giuridica non possono pertanto non concordare sempre col governo e con la condotta politica. Sono superati i tempi nei quali la scienza del diritto si staccava sempre più dall’evoluzione storica del proprio popolo e si estraniava dagli avvenimenti nazionali. La scienza giuridica tedesca, come scuola giuridica tedesca, è caratterizzata dalla fede nel diritto come fondamento immortale del destino del nostro popolo, dall’ammirazione per l’arte del Führer, suscitatore e reggitore dello Stato, e dalla vocazione per l’illustrazione dello spirito delle leggi nazionalsocialiste, nella dottrina, nello studio e nell’insegnamento. E da questa scienza verranno elaborati, favoriti e diffusi anche il senso giuridico, l’idea del diritto, la sapienza e la capacità giuridica.

Io invito la scienza giuridica tedesca, e specialmente la gioventù tedesca che ad essa si dedica, a porre ogni energia al servizio dell’opera del Führer e del popolo tedesco. La lotta tende anche a conquistare al diritto tedesco il riconoscimento dei grandi popoli di questa terra.

Credo che l’evoluzione del diritto stia per ascendere verso le più alte mete, realizzabili su questa terra dalla volontà, dal pensiero e dalla forza degli uomini.


Di Hans Frank

2 commenti

  • Scritto memorabile. Potenza dialettica da comprendere con attenzione.
    L’autore, Hans Frank, è stato uno dei pilastri del Terzo Reich.. capo della Gioventù hitleriana, avvocato e Governatore della Polonia, è stato influente per la sua vicinanza al Fuhrer.
    La conoscenza perfetta della visione hitleriana del Terzo Reich la assimilò perfettamente, riuscendo così a spiegarci, in questa fantastica opera, tutto l’ordine, la disciplina, la tenacia e la voglia di un Popolo tedesco che si doveva riprendere dalla situazione disastrosa del primo Dopoguerra.
    Da qui, deduciamo che il Terzo Reich poteva essere la forma-Stato per eccellenza.

  • Scritto importantissimo

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