«Eravamo come spartani». Intervista a Bojan Nikolic, membro dell’unità speciale “Cobra”

Quella che segue è l’intervista esclusiva a Bojan Nikolic, ex membro dell’unità speciale “Cobra”, un ristretto reparto di lotta al terrorismo delle Forze Amate serbe, considerato dagli esperti «una delle forze speciali meglio addestrate in Europa».

Grazie per aver accettato questa intervista. Quale è il motivo per cui hai deciso di entrare nell’unità speciale “Cobra”?

Quando mi candidai per far parte dei “Cobra”, facevo già parte di un reparto di polizia militare. Era il 2012 ed ero comandante di sezione da oltre due anni. All’epoca, come molti altri giovani serbi, sentivo il dovere di servire il mio paese con tutto me stesso. Così, quando mi fu consigliato di candidarmi per entrare nei “Cobra”, non esitai a farlo. Presto diventai incursore.

Quando è nata, come è organizzata e quali sono i compiti dell’unità “Cobra”?

Se non ricordo male, il nucleo originario dell’unità venne istituito durante la fine degli anni Settanta all’interno dell’Esercito popolare jugoslavo [JNA], e gli uomini che ne facevano parte, provenienti perlopiù dai ranghi della polizia militare, svolgevano esclusivamente attività di anti-terrorismo. Ma all’epoca non si trattava di una vera e propria unità, ma piuttosto di una squadra, composta da una decina di uomini (o poco più), inquadrati nel 282° battaglione dell’Esercito. Solo negli anni Ottanta venne trasformata in plotone, entrando ufficialmente nella 1ª Brigata della Guardia. Gli uomini che ne facevano parte erano i migliori dei migliori, professionisti a tempo pieno, amanti del combattimento e delle armi. Con la disgregazione della Jugoslavia [1991-1992], il plotone passò nel Corpo di Forze Speciali (che comprendeva due battaglioni e una brigata), prendendo parte attiva alle sanguinose guerre jugoslave [1991-2001], alla fine delle quali verrà posto alle dipendenze dello Stato Maggiore dell’Esercito serbo. Grazie al colonnello Kljajić, il plotone fu ampliato, divenendo un odred, ossia una formazione a metà strada fra la compagnia e il battaglione. Ed è in questo periodo, intorno al 2004-2005, che venne adottato il noto emblema del cobra alato attorcigliato ad una spada, che rappresenta l’astuzia, il potere, ma anche la saggezza e il pericolo. Oggi il reparto è subordinato al Comando della polizia militare del Quartier Generale dell’Esercito serbo, e svolge prevalentemente operazioni speciali, tra cui lotta al terrorismo e protezione di personaggi pubblici importanti, come politici e ministri.

Ci sono particolari prove o addestramenti che il candidato deve superare per entrare nell’unità?

Come in ogni unità speciale che si rispetti, anche nei “Cobra” i candidati devono superare un periodo di formazione molto duro e faticoso, nel quale il candidato si confronta sia con sè stesso che con l’ambiente circostante, scoprendo la sua vera natura di uomo e di soldato. Il corso di ammissione dura ventuno giorni, e chi aspira ad entrare nel reparto deve percorrere 2.400 metri entro dieci minuti, saltare in lungo (da fermo) 2,5 metri, fare 12 trazioni alla sbarra, 48 flessioni in sessanta secondi e 56 genuflessioni con in mano il proprio fucile in un minuto. La visita medica e i test attitudinali sono perciò molto severi. Se il candidato supera le prove, viene ammesso al corso di addestramento selettivo, che dura 9 mesi ed è diviso in tre parti: istruzione basica (3 mesi), istruzione comune (6 mesi) e istruzione condizionale (la quale rientra in tutti i 9 mesi). Il corso di istruzione basica, a sua volta, è diviso in quattro fasi. La prima fase si concentra soprattutto sulla preparazione fisica del candidato, e comprende lo svolgimento di marce, corse e vari esercizi ginnici. In questa fase il candidato perfeziona anche le proprie capacità nelle arti marziali (come lo Judo), nel nuoto, nell’uso delle armi bianche e delle armi da lancio, imparando ad adattarsi alle condizioni ambientali e orientarsi senza bisogna di particolari strumentazioni. Nella seconda fase, forse la più “eccitante”, vengono insegnate varie tecniche che riguardano le armi da fuoco (tutte le armi da fuoco!), mentre la terza fase è incentrata sull’apprendimento dell’uso degli equipaggiamenti speciali. Nella quarta e ultima fase – anche questa molto stimolante – si insegnano varie tecniche riguardanti le operazioni di polizia militare. Dopo questi primi tre mesi, solo una ristretta parte dei canditati – i migliori – accede all’istruzione comune, poiché la maggior parte di loro – per un motivo o per l’altro, anche il più banale – abbandona il corso. Riguardo all’istruzione comune, essa si concentra sulle tecniche impiegate durante le operazioni antiterrorismo e di tipo non convenzionale, al fine di fare acquisire ai candidati la preparazione necessaria per operare durante i combattimenti in ambiente urbano e rurale e durante la liberazione di ostaggi, in vari luoghi e in differenti condizioni climatiche. Nel corso si prende inoltre domestichezza con gli esplosivi e le varie attrezzature speciali utilizzate nell’esercito. Diciamo che questa particolare fase è di fondamentale importanza nella formazione del futuro membro dell’unità, poiché – nella maggior parte dei casi – determina le caratteristiche del soldato stesso. La parte finale del corso – forse la più difficile e faticosa – prevede invece una durissima esercitazione dalla durata di cinque giorni su un percorso di circa 160 chilometri (spesso in zone impervie), nella quale il candidato, equipaggiato col minimo indispensabile, deve portare a termine una specifica missione sopravvivendo solamente con le risorse messegli a disposizione dalla natura e dall’ambiente circostante. Se il candidato supera anche questa prova, potrà finalmente entrare a far parte della struttura operativa dell’unità.

Con quali armi ed equipaggiamento hai operato all’interno dell’unità?

Di norma si utilizzava un equipaggiamento speciale, mentre se non si doveva essere identificati operavamo in borghese. L’armamento personale includeva pistole Jerico 941F/FB e Glock-17 Gen. 4 in calibro 9 mm. Ma in base alla tipologia della missione o delle azioni che dovevamo intraprendere, avevamo a disposizione armi di ogni tipo, come fucili d’assalto, carabine e mitragliatrici. Insomma, ci divertivamo alla grande! Eravamo come spartani…

Qual è stata la vicenda, nei tuoi quattro anni all’interno dell’unità “Cobra”, che ti è rimasta più impressa?

Preferisco non parlarne. Non ora, almeno.

Ambizioni per il futuro?

Mi piacerebbe ritornare in Italia, dove vivono i miei figli e alcuni miei parenti, e dedicarmi alla famiglia: l’unica vera ragione della mia vita, dopo la Serbia.


Di Javier André Ziosi e Marko Drobnjak

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