La CIA e il narcotraffico internazionale. Come i servizi segreti americani hanno innondato il mondo di droga
Il coinvolgimento dei servizi segreti statunitensi (Central Intelligence Agency, CIA) nel traffico internazionale di droga al fine di contrastare l’Unione Sovietica, è un argomento che i media occidentali si sono ben guardati dall’approfondire.
Iniziamo con gli anni ’70. In quel periodo la CIA aveva organizzato un vero e proprio laboratorio di lavorazione dell’oppio nel nord del Laos, e grazie all’appoggio del generale laotiano Vang Pao, il sudest asiatico divenne a quel tempo il maggiore produttore ed esportatore di eroina. La compagnia aerea statunitense “Air America” fu usata segretamente dalla CIA fino al 1976, con compiti di rifornimento e appoggio in operazioni ritenute top secret soprattutto durante la guerra del Vietnam. In realtà trasportava droga.
La droga, così come le armi, è sempre stata usata dalla CIA come merce di scambio o per finanziare gruppi antisovietici. Anche dittatori favorevoli alle politiche degli Stati Uniti beneficiarono degli introiti derivanti dal narcotraffico. Molto interessanti furono anche le dichiarazioni del pentito di mafia Francesco Marino Mannoia, il quale dichiarò ai giudici statunitensi che Cosa Nostra utilizzava la base NATO di Sigonella per spedire ingenti quantitativi di eroina dalla Sicilia verso gli Stati Uniti. Secondo il pentito, «tra il 1979 ed il 1980 furono spedite diverse partite di eroina, raffinata dallo stesso Marino Mannoia per conto della famiglia di Santa Maria di Gesù, che faceva capo ai fratelli Stefano e Giovanni Bontade, e di altri boss, come Antonino Grado e Francesco Mafara».
Proseguiamo con gli anni ’80. Pochissimi anni prima in Nicaragua si era instaurato il governo filosovietico di Daniel Ortega e, in contemporanea alla sua ascesa, Reagan autorizzò la costituzione di un esercito per destabilizzare il legittimo governo nicaraguense. Questo esercito divenne poi noto come Fronte Democratico Nicaraguense (FDN) o “Contras“, da “contrarrevolucionarios”, ed era agli ordini del colonnello Bermudez, vecchio ufficiale della Guardia Nazionale. L’obiettivo dei Contras era di fiaccare il morale della popolazione, e indebolire il sostegno ai Sandinisti, vittoriosi nelle elezioni democratiche.
Negli anni a venire, il gruppo si fece conoscere soprattutto a causa di episodi molto spiacevoli, tra i quali attacchi ad ospedali e chiese. Si calcola che almeno 22mila civili, per lo più contadini, donne e bambini, morirono durante le azioni dei Contras. I finanziamenti ai Contras però non erano sufficienti. Fu così che nel marzo del 1982, due esiliati nicaraguensi, Danilo Blandon e Juan Meneses, volarono in Honduras per riunirsi con il colonnello Bermudez: dovevano trattare il finanziamento dei Contras.
Presero accordi; Meneses andò a San Francisco a curare l’importazione di tonnellate di cocaina, mentre Blandon la distribuiva ai trafficanti. La CIA e il Pentagono, con il colonnello Oliver North, erano già implicati.
Il caso finì sotto i riflettori (ma non troppo), quando nel 1996 tale Gary Webb, giornalista del San Jose Mercury News, un piccolo giornale californiano con sede a Sacramento, pubblicò un’investigazione completa di testimonianze, dettagli, date e documenti che dimostrava come agissero questi controrivoluzionari. Dalle indagini di Gary Webb emerse che il sostenitore principale, nonché finanziatore, dei Contras era niente di meno che la CIA, i servizi segreti degli Stati Uniti.
Quello che Gary Webb scoprì durante suoi numerosi viaggi in America centrale, spulciando trai documenti che riuscì ad ottenere ed intervistando poliziotti, trafficanti, avvocati e membri della malavita fu davvero sorprendente. Gli Stati Uniti finanziarono i Contras con i profitti della vendita delle armi in Iran e quando il Congresso decise di bloccare l’operazione, intervenne la CIA. Il piano architettato e successivamente portato a termine dalla CIA aveva dell’incredibile: i Contras furono finanziati con i profitti derivati dalla vendita di cocaina in tutto il Nord America, soprattutto in California, che, per motivi geografici, era una regione particolarmente comoda.
In pochissimo tempo fu organizzato un commercio su scala internazionale di tonnellate e tonnellate di cocaina che ogni giorno venivano caricate su aerei che partivano dal Nicaragua e atterravano in varie piste di tutti gli Stati Uniti. Tutto ciò avveniva sotto il controllo e la protezione della CIA, che così poteva combattere l’influenza sovietica in Nicaragua senza sporcarsi direttamente le mani e salvaguardando soprattutto le casse dello Stato. Tutto ebbe un impatto devastante sulla popolazione, soprattutto sulla frangia afroamericana. La quantità di droga che ogni giorno giungeva nei quartieri più poveri delle città californiane era enorme, così come confermò Ricky “Freeway” Ross, uno dei malavitosi più potenti e ricchi di Los Angeles, che confessò poco tempo dopo di aver fatto parte di un sistema enorme e ben organizzato che gli permetteva di vendere crack e cocaina per oltre 500mila dollari al giorno.
Torniamo al protagonista di questa storia, il coraggioso giornalista Gary Webb. Dopo aver scoperto, documentato e rivelato tutto ciò, la sua vita fu caratterizzata da una serie di eventi decisamente spiacevoli. I maggiori giornali statunitensi, Washington Post e Los Angeles Times su tutti, screditarono fortemente il suo operato, attaccandolo su vari fronti: dalla raccolta delle prove alle tesi sostenute, passando addirittura a spulciare nella sua vita privata.
Sotto la pressione di questi colossi del giornalismo, anche il San Josè Mercury News provò a convincere Webb a ritirare tutto, ma Gary era troppo onesto nei confronti del suo lavoro e del suo popolo per tirarsi indietro e continuò la sua lotta, anche lontano dalla sua famiglia. Era chiaro che ormai aveva molti più nemici che amici e preferì dunque salvaguardare la sicurezza dei suoi cari.
Webb dichiarò: «Ho lavorato sempre e soltanto per la verità e il risultato è stato che nessuno ha mai indagato sui narcotrafficanti, ma sono state aperte centinaia di indagini su di me, mentre le indagini sulla CIA sono state affidate ai suoi stessi agenti. I giornali hanno potuto continuare a scrivere menzogne, perché in questo Paese la verità è considerata sempre una “cospirazione terroristica” e l’unica cosa che conta è far tacere chi la dice o farlo apparire come un mezzo pazzo per screditarlo: ha sempre funzionato così e funzionerà sempre così».
Per opera della CIA, di personaggi molto potenti rimasti all’oscuro e dei direttori dei principali giornali statunitensi, il caso finì nel dimenticatoio molto presto e Gary Webb nell’immaginario collettivo diventò un pazzo.
Coraggiosamente la sua battaglia continuò con a fianco Jordy Cummings, ex-agente della CIA che, come Webb, aveva notato qualcosa di strano durante la sua attività. Nel 1998 Webb riformulò tutta la sua indagine, mettendo insieme tutto il materiale a sua disposizione e pubblicò il libro Dark Alliance: The CIA, the Contras, and the Crack Cocaine Explosion. Anche se consapevole di aver perso la sua battaglia contro una delle agenzie investigative più importanti del globo, o forse contro un intero sistema, continuò a lottare fino a quando il 10 dicembre 2004 fu trovato morto a casa della moglie con due proiettili nel cranio. Il caso fu archiviato come suicidio, ma c’è ancora chi, con un minimo di intelligenza, cerca di capire come ci si possa sparare in testa una seconda volta.
Passiamo ad analizzare la situazione in Afghanistan. Al fine di contrastare la legittima presenza dell’Unione Sovietica in Afghanistan, la CIA strinse contatti con diversi esponenti di spicco del mondo della droga mediorientale, tra cui Gulbuddin Hekmatyar, signore della droga afghano, nel tentativo di favorire la lotta dei terroristi contro i sovietici. Secondo lo storico Alfred W. McCoy, la CIA si adoperò al fine di creare amicizie e legami di collaborazione con i narcotrafficanti più influenti attraverso finanziamenti, armi, protezione politica e altri mezzi, spingendoli in compenso a lottare contro l’Unione Sovietica e contemporaneamente a rendersi protagonista indiretta del traffico dell’eroina e di altre droghe. Prima che Osama bin Laden e i Talebani diventassero “famosi” all’opinione pubblica occidentale, il leader dei cosiddetti mujaheddin era Yunus Khalis. Khalis combatteva anche contro gli altri gruppi afgani: l’obbiettivo era il controllo dei campi di papavero, delle strade e dei sentieri che portavano ai suoi laboratori di eroina vicino al suo quartier generale, nella città di Ribat al-Ali.
A Darra, la CIA vi aveva installato una fabbrica di armi per produrre copie delle armi sovietiche (in modo da eludere l’embargo sulle armi). La fabbrica era gestita dall’ISI (l’Inter-Services Intelligence pakistano). I guerriglieri afgani trasportavano l’oppio dall’Afghanistan al Pakistan, vendendolo al governatore pakistano del territorio nord-occidentale, il generale di corpo d’armata Fazle Haq. Trasformato l’oppio in eroina, i camion dell’esercito pakistano la portavano a Karachi, quindi veniva spedita in Europa e USA.
Gli agenti della DEA, l’Agenzia Federale Antidroga statunitense, sapevano molto bene che una ditta usata dalla CIA per finanziare i mujaheddin, la Shakarchi Trading Company, era coinvolta nel traffico internazionale di droga. La DEA scoprì che uno dei principali clienti di questa ditta era Yasir Musullulu, arrestato in flagrante mentre tentava di vendere un carico di oppio grezzo afgano da 8,5 tonnellate a esponenti della famiglia Gambino di New York.
Nel 1984, il vicepresidente George Bush si recò in Pakistan a visitare il generale del regime pakistano, Zia Ul-Haq. In quel periodo Bush era a capo del National Narcotics Border Interdiction System (Sistema nazionale di interdizione dei narcotici al confine). Investito di questa funzione, Bush incaricò la CIA delle operazioni antidroga, dell’uso e del controllo degli informatori. Nominò capo operativo l’ammiraglio in pensione Daniel J. Murphy. Questi chiese con insistenza l’accesso alle informazioni riservate sui cartelli dei narcotrafficanti. Ovviamente la CIA non gli diede nulla. Il vicepresidente tuonò sui quotidiani statunitensi che «non sarebbe mai sceso a patti con i narcotrafficanti sul suolo statunitense, né su quello straniero». Lodò il regime di Ul-Haq «per il suo inflessibile sostegno alla guerra alla droga» e trovò anche il tempo per far sottoscrivere ai pakistani un contratto per l’acquisto di 40milioni di dollari di turbine a gas prodotte dalla General Electric.
Durante gli anni ’80, l’amministrazione Reagan, in modo del tutto ipocrita, addossò addirittura la colpa del boom della produzione di eroina in Pakistan ai generali sovietici di stanza a Kabul.
In realtà, invece, nel 1982, l’Interpol aveva identificato il presidente pakistano ul-Haq come pedina chiave nel traffico di oppio fra Afghanistan e Pakistan. Qualche tempo dopo, Zia Ul-Haq fu fatto saltare in aria con una bomba piazzata sul suo aereo presidenziale (vedi La rivolta del Campo Badaber). Di conseguenza, Fazle Haq perse la preziosa protezione di ul-Haq e fu arrestato per un omicidio di un religioso sciita (commesso qualche tempo prima).
Dopo aver destituito il primo ministro Benazir Bhutto (che sarà poi uccisa nel 2007), il sostituto Ishaq Khan fece scarcerare Fazle Haq (sarà ucciso qualche tempo dopo, forse per vendetta per la morte del religioso sciita).
La DEA venne in possesso di informazioni relative al marito della Bhutto, Asif Ali Zardari, per aver finanziato spedizioni di eroina dal Pakistan verso Gran Bretagna e Stati Uniti. La DEA aveva affidato le indagini sul grande traffico internazionale di droga a John Banks, per lavorare sotto copertura in Pakistan. Banks era un agente esperto, aveva già lavorato per la DEA e pure per la Gran Bretagna. L’agente sotto copertura incontrò il marito della Bhutto, un generale dell’aviazione e un banchiere pakistano per discutere circa la logistica del trasporto, e gli dissero che «il Regno Unito era un’altra zona verso la quale avevano regolarmente spedito eroina e hashish». Un agente in pensione della polizia doganale britannica disse al Financial Times che tenevano sott’occhio Zardari, e che avevano informato i servizi segreti britannici. Anche in questo caso, però, Banks disse che la CIA bloccò le indagini della DEA su Zardari.
Un’altra vicenda che suscitò scandalo fu la scoperta che Ahmed Wali Karzai, fratello dell’ex presidente afghano, il filo-statunitense Hamid Karzai, era nel libro paga della CIA da otto anni (all’ottobre 2009), e la sua vicinanza al traffico d’oppio nel Medio Oriente contribuì a offuscare le reali intenzioni dei servizi segreti degli Stati Uniti circa il blocco del commercio della suddetta droga. Karzai, in ottemperanza a queste relazioni, fu pagato per realizzare operazioni in alcune regioni dell’Afghanistan e reclutare forze paramilitari.
Ma non crediate che dopo la disgregazione dell’Unione Sovietica, la CIA abbia smesso di occuparsi di traffico internazionale di droga. Non ha smesso assolutamente poiché i proventi derivanti da questo vergognoso crimine servono a finanziare la pianificazione e la realizzazione di altri vergognosi crimini che questa ignobile organizzazione governativa realizza costantemente.
Dimostrazione evidente ne è quanto accadde nel novembre 2004, quando un aereo della CIA venne usato per trasportare oltre una tonnellata di cocaina in Nicaragua. Dopo un atterraggio in un campo di cotone, qualcosa andò storto e il Beechcraft 200 con sigla N168D venne abbandonato. La stessa sigla apparve negli atti della commissione d’inchiesta dell’Europarlamento, guidata dall’italiano Claudio Fava, sui sequestri di persona degli 007 di Washington in Europa. E anche nell’elenco del Ministero dei Trasporti britannico, con voli in Iraq, Grecia, Italia (Cagliari), Spagna, Portogallo, Germania, Islanda. Tra il 2002 e il 2004 la sigla N168D risultava intestata alla Devon Holding & Leasing, che, secondo l’inchiesta del Parlamento Europeo, è una società di copertura del governo statunitense. Nella rete inestricabile tra operazioni illegali e complicità degli agenti segreti corrotti restarono coinvolti altri aerei: tra questi un vecchio DC 9 con 5 tonnellate e mezzo di cocaina a bordo, atterrato per un guasto in Messico nell’aprile 2006. I piloti fuggirono. Per settimane l’autorità aeronautica di Washington non rivelò chi fossero i proprietari. Risultò poi una società in contatto con la CIA che, proprio pochi giorni prima del volo carico di coca, aveva venduto il DC 9. C’è un grande bisogno di mezzi per trasportare la droga dalle zone di produzione alle zone di smistamento verso Stati Uniti e Europa. Il 16 dicembre 2008 nello Stato messicano di Sonora, al confine con gli Stati Uniti, vennero sequestrati sette aerei attrezzati per la fumigazione delle coltivazioni. Non avrebbero dovuto trovarsi lì. Erano stati assegnati alle operazioni antidroga in Colombia. La CIA, invece, li impiegò per il trasporto della coca verso gli Stati Uniti.
Molto interessante ed evidente è quanto accadde il 24 settembre 2007. Quel giorno, un lussuoso jet d’affari attraversò lo spazio aereo messicano. I piloti puntavano a nord, verso il confine degli Stati Uniti. Ma in pochi istanti capirono di essere nei guai. Tennero una quota troppo bassa per nascondersi ai radar e per questo i due motori consumarono più carburante del previsto. Dovettero atterrare al più presto. Anche se il carico che avevano distribuito in modo bilanciato tra i sedili non era di quelli che si possono dichiarare in dogana: 126 valigie per un totale di 3 tonnellate e 300 chili di cocaina purissima. A contribuire all’eccessivo consumo di carburante fu proprio quel sovraccarico: l’equivalente di 41 passeggeri per un aereo che di solito ne porta 14. I due piloti chiesero l’autorizzazione per atterrare a Cancun. Ma l’aeroporto rifiutò. Riprovarono con Merida, a qualche minuto di volo. Furono respinti anche lì. Vennero poi intercettati e inseguiti da un elicottero dell’esercito. L’aereo si abbassò e senza più carburante si schiantò sulla foresta al centro della Penisola dello Yucatan. La fusoliera si ruppe in tre tronconi. La mancanza di benzina evitò l’esplosione. I due piloti e il terzo a bordo si salvarono. E quando dopo alcune ore vennero rintracciati dai militari, chiesero di contattare il consolato degli Stati Uniti. Tra i rottami dell’aereo vennero trovate le valigie piene di cocaina. E qui finiscono le notizie ufficiali. La stampa locale scrisse che l’aereo era partito da Rionegro, in Colombia. E Rionegro non è altro che il municipio che ospita l’aeroporto di Medellin, una delle capitali dei narcos.
Di Luca D’Agostini (da: MadreRussia)
la presenza dell’Unione Sovietica in Afghanistan non era “legittima”, perché si trattava di “un’occupazione militare a seguito di invasione”, come ha sentenziato il Tribunale Russell nella sessione di Stoccolma (1-3 maggio 1981) .
“lotta dei terroristi contro i sovietici” : combattere contro gli invasori non è terrorismo, ma un dovere.