Narco-Contractor. Perchè gli americani NON se ne vanno dall’Afghanistan
Il presidente americano Joe Biden, all’apparenza desideroso di porre fine alla guerra in Afghanistan, ha recentemente dichiarato di voler ritirare le truppe americane dal territorio afghano entro il prossimo 11 settembre – data simbolica, che riporta alla memoria il tragico attentato del 2001 alle Twin Towers di New York, nel quale morirono quasi tremila persone.
«È ora di porre fine a questa lunga guerra», ha spiegato Joe Biden. «Ora sono il quarto presidente degli Stati Uniti a presiedere la presenza delle truppe americane in Afghanistan […]. Non trasferirò questa responsabilità a un quinto. Gli afgani hanno il diritto e la responsabilità di guidare il loro paese. E quella forza militare americana sempre più vasta e infinita non potrebbe certo creare o sostenere un governo afghano durevole».
Ma è davvero così? I soldati americani, dopo vent’anni di permanenza nelle terre inospitali dell’Afghanistan, torneranno veramente a casa?
Contractor e agenti segreti
La risposta alla suddetta domanda, contrariamente a quanto si possa pensare, è negativa. Jeremy Kuzmarov, noto scrittore e caporedattore di CovertAction Magazine, ha difatti dichiarato:
Oltre 18.000 contractor del Pentagono rimangono in Afghanistan, mentre le truppe ufficiali sono 2.500. Joe Biden ritirerà questo piccolo gruppo di soldati, lasciandosi però alle spalle le forze speciali statunitensi, i mercenari e gli agenti dell’intelligence, privatizzando e ridimensionando la guerra, ma non ponendone fine.
Secondo il New York Times, dopo la partenza formale delle truppe americane, gli USA – malgrado le belle, seppur ipocrite parole di Biden – rimarranno in Afghanistan attraverso una «oscura combinazione di forze operative speciali clandestine, contractor del Pentagono e agenti segreti», con il compito ufficiale di «trovare e attaccare le minacce più pericolose di al-Qaeda o dello Stato Islamico», dunque per combattere il terrorismo.
Della stessa opinione è Matthew Hoh, veterano dell’esercito dimessosi nel 2009 dal Dipartimento di Stato in segno di protesta contro la guerra, il quale ha rilasciato di recente parole alquanto significative:
Indipendentemente dal fatto che le 2500 truppe statunitensi riconosciute lascino l’Afghanistan, l’esercito americano sarà ancora presente sotto forma di migliaia di operazioni speciali e personale della CIA dentro e intorno all’Afghanistan, attraverso dozzine di squadroni di aerei d’attacco con equipaggio e droni di stanza su basi terrestri e portaerei nella regione, e centinaia di missili da crociera su navi e sottomarini.
Pertanto, una delle più grandi compagnie di contractor che rimarranno in Afghanistan è la DynCorp International, che, solo due anni fa, ha ricevuto oltre 7 miliardi di dollari in contratti governativi per addestrare l’esercito afghano e gestire le basi militari in Afghanistan. Essa ha sede in Virginia e, dalla sua fondazione ad oggi, ha fornito servizi alle forze armate americane in vari teatri di guerra, tra cui Bolivia, Bosnia, Somalia, Angola, Haiti, Colombia, Kosovo, Iraq e Kuwait.
Ma perché questa scelta? Perché mantenere sul territorio i contractor e far tornare a casa i militari regolari?
Secondo il giornalista e scrittore Alessandro Scotti, i contractor «non hanno le limitazioni dei militari in forze, non rientrano nelle statistiche dei caduti dell’esercito, non si armano autonomamente, bypassano le gerarchie, possono essere esposti a situazioni inaccettabili per l’esercito regolare e non rispondono alle medesime regole d’ingaggio», perciò le loro azioni e le loro vicende personali, rimanendo spesso occultate, hanno un minore impatto sull’opinione pubblica americana e internazionale.
Intervistato dalla giornalista Giorgia Pietropaoli, un militare americano di ritorno dall’Afganistan ha dichiarato:
Ne ho incontrato qualcuno [di contractor]. Sono soprattutto americani, inglesi, qualche australiano. Ma non mi piacciono e non mi piace parlare di loro. Fanno quello che devono fare, senza aver bisogno di nessuna spiegazione. Un soldato ha bisogno di sapere perché fa quello che fa. Un mercenario no. E poi non bisogna dare spiegazioni a nessuno se muore uno di loro.
Tuttavia, è legittimo supporre che quella di Biden sia una vera e propria mossa di realpolitik, indirizzata a mantenere la presenza USA in Afghanistan, ma senza turbare l’opinione pubblica mondiale e allontanando così ogni possibile accusa d’imperialismo verso gli stessi Stati Uniti, che – come vedremo – sono in realtà del tutto intenzionati a mantenere la propria presenza sul territorio afghano – e non certo per combattere il terrorismo.
La guerra dell’oppio
Come è già stato dimostrato in diverse inchieste, Al-Qaeda, i Talebani e lo Stato Islamico configurano solamente un unico, grande pretesto per mantenere le truppe americane in Afghanistan. Il vero motivo della presenza USA nella regione è un altro, da sempre noto agli studiosi di questioni afghane: l’oppio.
Si, avete capito bene: il vero motivo della guerra in Afghanistan è rappresentato dalla droga: oppio ed eroina che, secondo una stima avanzata dal generale Makhmut Gareyev, ex comandante delle forze armate afghane, porterebbe nelle tasche degli americani «50 miliardi di dollari l’anno», parte dei quali andrebbero a coprire «interamente le spese legate al mantenimento delle loro truppe» in Afghanistan.
Enrico Piovesana, giornalista ed esperto di narcotraffico, ha così riassunto le dinamiche che, nel 2001, portarono alla cosiddetta “guerra dell’oppio afghana”:
Nel luglio del 2000, il regime talebano […] decise per la prima volta di interrompere completamente la produzione d’oppio e di eroina. Improvvisamente ci fu un’interruzione repentina dei flussi di droga e quindi di flussi monetari verso l’Occidente. Molti economisti e analisti sostengono che l’intervento [americano in Afghanistan] sia servito per riappropriarsi del controllo della produzione e del commercio di droga che i Talebani avevano interrotto. […] La dimostrazione di questo è il fatto che non appena le truppe occidentali hanno messo piede in Afghanistan, la produzione [d’oppio] è ripartita ed è ripartita non nelle zone sotto controllo talebano, perché fino al 2006 i talebani sono rimasti fuori dai giochi.
Dello stesso parere è Michel Chossudovsky, professore di economia alla University of Ottawa e direttore di Global Research:
La produzione dell’oppio era collassata del 90% nei due anni precedenti l’invasione in Afghanistan. Con l’invasione, la produzione riguadagna i suoi livelli storici e li supera. In altre parole, sotto gli Stati Uniti che guidano l’occupazione con il supporto dei paesi NATO, la produzione d’oppio si è incrementata di circa trenta volte e questa non può essere che una grossa operazione monetaria.
Inoltre, prima dell’intervento americano non si produceva eroina in Afghanistan, poiché i prodotti utilizzati per la raffinazione erano irreperibili nel paese. Secondo Enrico Piovesana, infatti, «durante i regimi talebani l’oppio usciva grezzo dall’Afghanistan per venire successivamente raffinato in Pakistan, in Iran o in Asia centrale». Ma con l’intervento USA tutto è cambiato:
Il fiorire delle raffinerie [in Afghanistan] c’è stato negli ultimi anni e queste sono state concentrate nelle zone sotto controllo governativo. Soprattutto nell’est e nel nord-est del paese sotto il controllo dei contingenti occidentali, e nelle zone dove le truppe occidentali controllano il territorio nel sud dell’Afghanistan. Nella provincia di Musa Qala, ad esempio, dove, da tempo, i britannici sono presenti: lì ci sono tantissimi laboratori funzionanti.
Dunque, sintetizza Giorgia Pietropaoli, «le raffinerie si concentrano soprattutto nelle aree sotto controllo occidentale», così come «le zone in cui c’è la maggiore attività di coltivazione del papavero [d’oppio] corrispondono alle province controllate soprattutto dagli americani e dagli inglesi: Helmand, Farah, Kandahar, Nangarhar». Coincidenze?
Contractor e narcotraffico
Ma sorge spontanea una domanda: cosa c’entrano i contractor con tutto questo? Cosa lega il traffico di droga alle compagnie private di mercenari?
Secondo alcune fonti, sarebbero proprio i contractor alcuni fra i maggiori responsabili della gestione del traffico di eroina prodotta in Afghanistan. Antonio Maria Costa, ex direttore dell’UNODC, ha infatti dichiarato:
I contractors impiegati in Afghanistan dal Pentagono, dalla CIA e dalla NATO sono una straordinaria banda di profittatori che speculano sulle guerre. Negli anni ho ricevuto dalle agenzie governative diversi rapporti riservati che contenevano accuse pesanti nei confronti di alcune di queste società riguardo al loro coinvolgimento nel contrabbando di droga: ritengo che non si tratti di accuse infondate.
Tale fenomeno è stato confermato anche dalle parole di alcuni militari afghani intervistati dal giornale russo Vremya Novostei, che afferma:
L’85% dell’eroina afghana viene portata all’estero dai militari americani e inglesi, soprattutto a bordo dei loro aerei militari da trasporto. La droga arriva nelle basi militari tramite mediatori occidentali che operano sotto copertura di contractor e ONG […]. Viene pagata sia in denaro, sia in armi e munizioni contrabbandate dalle ex repubbliche sovietiche.
Dello stesso parere è il giornalista Enrico Piovesana, che, in seguito ad uno dei sui ultimi viaggi in Afghanistan, ha riportato alcune testimonianze davvero importanti, che meritano senza dubbio di essere citate:
Uno spacciatore afghano racconta come venda abitualmente fino a un chilo di eroina a settimana agli interpreti afghani che lavorano nella base NATO di Kandahar, e come non solo i militari occidentali ma anche i contractor stranieri che operano nella base acquistino eroina, e in quantitativi ben maggiori, direttamente dai grossi trafficanti. Un ufficiale distrettuale spiega che «soldati e contractor stranieri si servono degli afghani per acquistare eroina che poi portano in Occidente usando gli aeroporti NATO».
Ma non è tutto. Un ex militare italiano, Marco B., recentemente interpellato dalla redazione di Ardire, ha dichiarato:
Fra le forze armate e i gruppi di intelligence, tutti sanno cosa succede in Afghanistan e per quale motivo scoppiò la guerra nel 2001. Tutti sanno che l’Occidente è presente in Afghanistan per l’oppio, che vale quasi più dell’oro. […] Nella maggior parte dei casi, sono i contractor – oltre ad alcuni militari scelti dell’esercito regolare – che gestiscono il traffico di droga per conto dell’intelligence americana. E questo ho potuto scoprirlo durante la missione ISAF. Quando tornai in Italia, nel 2007, raccontai tutto ad alcuni vecchi commilitoni, e quasi tutti mi risposero che ne erano già a conoscenza. Ciò mi lasciò senza parole. Uno di loro mi raccontò in seguito che il governo americano [per quanto concerne la gestione del traffico di droga afghana] utilizza prevalentemente contractor per non implicare troppo l’esercito, il quale ha costantemente gli occhi dell’opinione pubblica puntati addosso e quindi non può attirare troppo l’attenzione, al contrario dei contractor, che, invece, possono fare tutto quello che gli pare senza coinvolgere l’opinione pubblica o i media. Ecco perché Biden ha deciso di mantenere in Afghanistan solamente i contractor e alcuni uomini dell’intelligence: essi continueranno probabilmente a gestire il traffico di droga senza il supporto diretto dei militari. La questione è semplice: finché ci sarà l’oppio, l’America non se ne andrà mai realmente dall’Afghanistan.
Riciclaggio del denaro
Attenendoci ai fatti e alle testimonianze, pare quindi che i contractor americani, e con essi alcuni soldati regolari, siano implicati in prima persona nel traffico di droga afghana, i cui proventi, come già accennato, vengono in parte utilizzati per il mantenimento delle truppe americane in Afghanistan, mentre un’altra parte – probabilmente molto più cospicua – viene riciclata attraverso circuiti finanziari legali.
Stando ad un rapporto di qualche anno fa, infatti, «le banche statunitensi ed europee riciclano annualmente tra i 500miliardi e il trilione di dollari provenienti dal crimine internazionale, la metà dei quali vengono ripuliti dalle sole banche americane».
Ma è stato James Petras, professore all’Università di Birmingham, ad affermare quello che in molti hanno sempre pensato, ma che nessuno ha mai osato dire:
Senza il denaro sporco [proveniente dal narcotraffico] l’economia estera degli Stati Uniti sarebbe insostenibile, gli standard di vita crollerebbero a picco, il dollaro si svaluterebbe, il capitale disponibile e gli investimenti si ridurrebbero e Washington non sarebbe più in grado di sostenere il suo impero globale.
E ancora:
Washington e i mezzi di comunicazione hanno descritto gli Stati Uniti come i primi oppositori del narcotraffico, del riciclaggio del denaro proveniente dalla droga e dalla corruzione politica: l’immagine che viene promossa è quella di mani bianche e limpide che lottano contro il denaro sporco. La verità è l’esatto opposto. Le banche nordamericane hanno sviluppato un insieme di politiche altamente sofisticate per trasferire proventi illeciti nel paese, investire tali introiti in fondi e affari legittimi o in buoni dello Stato nordamericano allo scopo di renderli legali.
L’olocausto degli oppiacei
Ma questa è solo una faccia della medaglia. Il massiccio traffico di droga afghana, in particolare di eroina, comporta un’altra drammatica conseguenza, ossia l’aumento dei tossicodipendenti in tutto il mondo e, con essi, le morti per overdose.
Non a caso, Gideon Polya, scienziato e attivista umanitario, ha recentemente parlato di un vero e proprio «olocausto degli oppiacei imposto dagli USA». Secondo le sue stime, sarebbero infatti oltre 5milioni i morti causati dalla droga proveniente dall’Afghanistan dal 2001 al 2019:
I media mainstream, controllati dal governo degli Stati Uniti, continuano a capovolgere la realtà, ignorando questo massacro imposto dagli USA: 5,2 milioni di morti da oppiacei in tutto il mondo (290.000 all’anno per 18 anni), collegati al ripristino, da parte degli Stati Uniti, dell’industria afgana dell’oppio, già distrutta dai talebani e passata da una quota di mercato mondiale del 6% circa nel 2001 al 93% nel 2007.
L’intervento americano in Afghanistan ha quindi portato, grazie soprattutto all’operato occulto dei contractor, ad un netto aumento della tossicodipendenza e delle morti per droga in tutto il mondo – compreso lo stesso Afghanistan, dove prima dell’intervento americano il consumo di eroina (non venendo raffinata in patria) era pari a zero, mentre oggi, nell’Afghanistan “liberato”, vi sono migliaia di eroinomani, che, come zombie, barcollano costantemente per le strade di Kabul in cerca di una dose per placare la crisi d’astinenza, proprio come in alcune zone delle grandi megalopoli americane. Un’altra coincidenza?
Spiega Marco B.:
La tossicodipendenza sempre più dilagante a Kabul e nelle altre grandi città dell’Afghanistan è un lascito americano. Durante l’epoca dei talebani, gli afghani non sapevano nemmeno cos’era l’eroina e conoscevano a malapena l’hashish… Dopo il 2001, invece, anche l’Afghanistan ha cominciato ad avere a che fare con l’eroina…
Per concludere
Alla luce di quanto detto, è possibile affermare che «la lotta contro la droga è una farsa» (come ebbe a dire già lo scrittore Daniel Estulin) e che la strategia del nuovo presidente Biden – da buon democratico – è quella di mantenere la presenza americana in Afghanistan (e continuare quindi a gestire, attraverso i contractor, le attività connesso al traffico di droga), senza però attirare a sé accuse d’imperialismo o attenzione mediatica in grado di danneggiare l’immagine di un’America paladina della democrazia e della libertà. L’annuncio del ritiro delle truppe, in sostanza, non rappresenta altro che un escamotage, una strategia a lungo termine.
E non è un caso che, anche l’ex presidente Barack Obama, nel lontano 2011, abbia annunciato l’inizio del ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan, rilasciando parole che, alla fine, si sono rivelate del tutto false:
Le nostre truppe continueranno a lasciare il paese… Entro il 2014 il processo di transizione sarà completato e gli afghani saranno responsabili per la loro sicurezza.
Dunque, è da oltre dieci anni che l’America – con i suoi presidenti democratici e massoni – afferma di voler lasciare l’Afghanistan. Ma, come ha ricordato Marco B., «le chiacchiere sul ritiro dei soldati americani dall’Afghanistan sono solo chiacchiere e, in quanti tali, non hanno mai portato a nulla di concreto».
Il fatto è che «l’oppio fa guadagnare un mucchio di soldi agli Stati Uniti e lasciarlo in mano ad altri significherebbe perdere entrate costanti di denaro liquido», ha dichiarato il militare. «In fondo, è solo questione di cash… Ci siamo capiti, vero?».
Di Javier André Ziosi
Già avevo sentito del coinvolgimento dei militari nel traffico di droga, ma non avrei mai immaginato una cosa del genere…
Un classico esempio di DROGA DI STATO :=)
Se è tutto vero quello che è scritto qua, vorrebbe dire che siamo nelle mani di veri spacciatori di stato. Guarda caso, in mezzo agli affari loschi ci sono sempre gli americani..
Non è assolutamente nuovo questo modo di agire. Già durante gli anni 70 l’intelligence americana, col supporto di quella italiana, trafficava eroina in Italia ed in Europa per indebolire certi movimenti giovanili rivoluzionari (vedi operazione Blue Moon). L’eroina, spegnendo sogni e senso di critica, è particolarmente efficace nel rendere i cittadini passivi, accondiscendenti ad ogni legge e governante. Ma se prima si dovevano indebolire i giovani rivoluzionari, oggi che obiettivo ha l’intelligence??!
Complimenti, scritto importante e ‘scomodo’, tutti dovrebbe leggere e sapere.
Complimenti! Articolo davvero importante per fare luce sulle origini del narcotraffico.