Le origini occulte della Campagna di Grecia. Tutto ciò che non ti hanno mai detto sulla guerra italo-greca (ottobre 1940 – aprile 1941)
La Campagna di Grecia è vista, dalla maggior parte degli storici, come una guerra imperialista, sorta per espandere i confini italiani. Ma fu davvero così, o siamo dinanzi a teorie propagandistiche, confezionate ad hoc dai vincitori?
Sulla Campagna di Grecia se ne sono dette tante. Il giornale Focus, ad esempio, ricalcando pappagallescamente le tesi della storiografia ufficiale, ha dichiarato di recente che, «con la Campagna di Grecia, Mussolini voleva emulare la guerra lampo di Hitler, accrescendo il prestigio dell’Italia nei Balcani». Dello stesso parere è il blog per radical chic Fatti per la Storia, secondo il quale l’attacco alla Grecia nacque «per soddisfare i vanagloriosi progetti imperialisti del Duce», e che pertanto quella era una guerra di matrice puramente espansionistica. In realtà, però, non fu proprio così.
La versione ufficiale sulle origini della guerra in Grecia (ottobre 1940 – aprile 1941), infatti, è costellata da menzogne e infami ipocrisie, imposte dai vincitori al fine di falsificare la Storia e, dunque, dare un’immagine negativa e riprovevole del fascismo e delle sue innumerevoli opere. La guerra italo-greca, pertanto, è descritta addirittura come una «campagna-farsa», per mezzo della quale Benito Mussolini – a quattro anni dalla vittoriosa guerra d’Etiopia – poté soddisfare i propri capricci da dittatore megalomane, strizzando l’occhio al Cancelliere tedesco Adolf Hitler, che in poche settimane aveva già occupato il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e la Francia. Ma non vi è niente di più falso, poiché – contrariamente a quanto si possa pensare oggi – la Campagna di Grecia – come dimostreremo nel presente articolo – fu dettata dalla necessità difensiva di proteggere i confini nazionali, e non dalla volontà imperialistica di allargarli – come dichiara invece la storiografia accademica ufficiale. «Non ci sentivamo per niente invasori», ricorda a tal proposito un reduce di guerra. «Il nostro desiderio era quello di difendere i confini italiani dalle perfide macchinazioni dell’Inghilterra, che, attraverso Giorgio II di Grecia, aveva portato il paese ellenico in uno stato di estrema ostilità con l’Italia e sotto l’ala protettrice della perfida Albione. Per questo, con l’ultimatum redatto dal nostro Ministro degli Affari esteri, Galeazzo Ciano, chiedevamo a gran voce il diritto di occupare “alcuni punti strategici” del territorio greco fino alla fine della guerra con l’Inghilterra. Volevamo, a modo nostro, tutelarci…».
Ma andiamo con ordine, e partiamo dal principio.
Eccidio di Ioannina
Per ripercorrere le origini del conflitto italo-greco in maniera oggettiva, senza farsi influenzare dall’abbietta propaganda accademica del XX e XXI secolo, è tuttavia necessario fare qualche passo indietro e ritornare, con documenti alla mano, al periodo del primo mandato di re Giorgio II di Grecia (1922-1924), quando ancora il fascismo – divenuto partito – stava muovendo i suoi primi passi nella politica italiana per consolidare definitivamente il proprio potere. Fu in questo periodo che, a causa dell’influenza occulta dell’Inghilterra su re Giorgio, i rapporti fra Italia e Grecia cominciarono a guastarsi. Uno dei primi episodi significativi in merito fu l’eccidio di Ioannina, nel quale un’intera delegazione di italiani, capitanata dal generale Enrico Tellini (il cui compito era quello di «delimitare il confine tra l’Albania e la Grecia» per conto della Conferenza degli Ambasciatori di Parigi), fu trucidata – il 27 agosto 1923 – da una banda di sicari nei pressi di Ioannina (Grecia). Con il generale, morirono anche il maggiore Luigi Corti, il tenente Mario Bonacini, l’autista Remigio Farnetti e l’interprete albanese Thanas Gheziri. I responsabili dell’eccidio non furono mai rintracciati, anche se è pienamente legittimo supporre che i mandanti – come dichiarò lo stesso Mussolini – fossero probabilmente i greci, i quali – da sempre succubi degli inglesi e delle logge massoniche antifasciste ad essi legate – mal sopportavano l’influenza italiana in Albania e nei territori dei Balcani.
Alla notizia dell’eccidio, in tutte le città italiane scoppiarono legittime manifestazioni anti-greche, le quali furono placate dalla promessa di Mussolini di mandare un ultimatum al Governo greco, pretendendo da esso – oltre alle scuse formali – l’istituzione di una commissione d’inchiesta che individuasse i colpevoli, la pena capitale per quest’ultimi, un risarcimento di 50 milioni di lire e che la flotta greca rendesse gli onori alla bandiera italiana con un’apposita cerimonia. Il Governo greco, che prendeva ordini da Londra, accolse solo in piccola parte le richieste italiane; di conseguenza, Mussolini fece schierare nel mar Ionio una squadra navale composta dalle corazzate Conte di Cavour, Giulio Cesare, Andrea Doria e Duilio, occupando l’isola greca di Corfù dopo intensi bombardamenti.
Crisi di Corfù
Il governo di Atene, appoggiato da Londra, chiese a sua volta l’intervento della Società delle Nazioni, mentre il premier britannico Stanley Baldwin mobilitò subito parte della Royal Navy, potenziando l’intera flotta inglese del Mediterraneo in ottica anti-fascista. Nacque così una grossa crisi all’interno del governo italiano, oggi nota come “crisi di Corfù“: da una parte, c’era chi – come il Ministro della Marina Paolo Thaon di Revel – riteneva fondamentale un rapporto di amicizia, se non addirittura di alleanza, con l’Inghilterra e la Grecia, al fine di non aggravare – nel suo insieme – la situazione bellica, mentre dall’altra vi era Mussolini, appoggiato dai suoi più fedeli seguaci, che – profondamente indispettito dai fatti di Ioannina e preoccupato dall’atteggiamento sempre più ostile di Inghilterra e Grecia nei confronti dell’Italia – era intenzionato a rischiare tutto e, dunque, a portare avanti una politica “revisionista” rispetto ai trattati di pace e alla Società delle Nazioni.
Ma il 27 settembre, di fronte allo stupore e all’incredulità di mezza Europa, la Conferenza degli Ambasciatori riconobbe le richieste dell’Italia alla Grecia come «pienamente legittime»; di conseguenza, quest’ultima dovette accettare di pagare i 50 milioni richiesti e di tributare gli onori alla bandiera italiana. Mussolini, a sua volta, decise infine a sorpresa di versare metà della somma ricevuta (circa 25 milioni di lire) in beneficenza alle migliaia di profughi greci in fuga dall’Anatolia, alcuni dei quali avevano perso la vita durante i bombardamenti di Corfù. La pace, momentaneamente, era salva.
Schiava di Albione
Sei mesi dopo, il 25 marzo 1924, con la proclamazione della Repubblica, re Giorgio venne ufficialmente deposto e privato della nazionalità greca e delle sue proprietà private, le quali vennero confiscate dal governo. La nuova repubblica, ottenendo inizialmente dalle banche inglesi un prestito di 9 milioni di sterline e, nel 1928, altre 4 milioni di sterline, divenne a tutti gli effetti schiava economica dell’Inghilterra, il cui obiettivo – in sostanza – era quello di introdurre anche in Grecia – in cambio dei prestiti – il cosiddetto “sistema aureo” (o sistema “gold standard”), istituendo una banca centrale per supervisionare la politica economica e facendo così della Grecia una sorta di provincia inglese.
Nel frattempo, re Giorgio venne esiliato in Romania (paese nativo della moglie), mentre negli anni ’30 si recò in Inghilterra, dove fu accolto al prestigioso Brown’s Hotel di Dover Street (Londra), il quale divenne la sua residenza. Qui, approfondendo – attraverso la frequentazione di personaggi legati alle società segrete – la filosofia massonica e la tradizione occulta occidentale, venne iniziato ai misteri della Loggia Wellwood n. 5143, per poi divenirne, poco tempo dopo, Maestro Venerabile. I massoni inglesi lo introdussero quindi negli ambienti “che contano” legati alla Corona, mettendolo in contatto con l’aristocrazia britannica e, dunque, con le logge occulte ad essa connessa, coperte e non. Ma in Grecia, tuttavia, la propaganda anti-italiana non cessò.
Politica dei colpi di spillo
Il giornale La Verità del 30 novembre 1940, spiega che, durante la nuova repubblica, operarono in ottica anti-italiana diversi importanti politici greci, tra cui l’ebreo Eleuthèrios Venizèlos, legato al circuito della massoneria internazionale e, dunque, «larvatamente ostile» all’Italia, e il filo-monarchico Nikòlaos Polìtis, che smaniava per un ritorno al trono di re Giorgio II, lavorando attivamente da Ginevra in ottica anti-fascista. Ma tutto cambiò nell’ottobre/novembre 1935, poiché – in seguito ad un colpo di Stato militare supportato da Londra e un contestatissimo referendum istituzionale, il cui plebiscito fu caratterizzato da brogli, intimidazioni e irregolarità – Giorgio II venne richiamato dall’esilio e riportato al trono dal generale Geòrgios Kondỳlis, detto “Keravnos”.
«Questo evento, per grazia di Dio e per volontà del popolo ellenico, porterà la Grecia alla prosperità e alla gloria generale», dichiarò in merito re Giorgio, trasferendosi dal Brown’s Hotel alla capitale greca. «La separazione è stata dura per me e tutti noi abbiamo sofferto profondamente. Ma non nutro risentimento contro nessuno. […] Greci! Ricordate ciò che la nazione ha realizzato sotto mio padre [re Costantino], come abbiamo progredito verso la realizzazione dei nostri sogni… Greci! Il motto dei miei antenati sarà anche il mio: “La mia forza sta nell’amore del mio popolo!”».
Come auspicato da Londra – prosegue La Verità – «il ritorno della Grecia alla monarchia» non fece altro che «peggiorare i rapporti» fra l’Italia e lo Stato ellenico, inaugurando la cosiddetta «politica dei colpi di spillo». Fu in questo periodo che re Giorgio, guadagnandosi il supporto dei ricchi circoli di “evergeti” greci sparsi per l’Europa, divenne a tutti gli effetti – spiega La Verità – «una creatura dell’Inghilterra, non soltanto per la sua parentela dinastica, ma perché ha accentuato il suo asservimento e quello del suo paese alla politica inglese». Da questo momento, re Giorgio rappresenta una vera e propria marionetta, legata a doppio filo alla bieca ed arrogante monarchia inglese.
Offensiva contro l’Italia
Nell’agosto del 1936, Ioànnis Metaxàs – altro uomo di fiducia degli inglesi – diviene “dittatore” della Grecia. Strumentalizzando i tumulti operai di maggio, egli dichiara lo stato d’emergenza, sospendendo il parlamento a tempo indefinito e abrogando vari articoli della costituzione. Inizia così un intenso sodalizio fra re Giorgio e Metaxàs, il quale sfociò nella creazione di una nuova e particolare politica anti-italiana e filo-inglese, che, portando all’estremo la cosiddetta “politica dei colpi di spillo”, mirava – in sostanza – a colpire al cuore lo Stato italiano. Riporta in merito La Verità: «L’atteggiamento sempre più velenoso della stampa greca verso di noi dal tempo della nostra dichiarata non belligeranza [settembre 1939], la sua crescente campagna di menzogne e di insinuazioni sulle varie fasi della politica italiana, la propaganda anti-italiana diffusa in tutte le zone ove i greci si propalavano dall’Egeo all’Egitto, da tutto il Levante alla Siria, la guerra sorda al nostro commercio, lo zelante schieramento contro di noi al tempo delle sciagurate sanzioni ginevrine, la persecuzione degli albanesi posti sotto la nostra protezione e, infine, il clamoroso assassinio del patriota albanese della Ciamuria, costituivano indubbi segni della costante animosità della Grecia verso di noi».
Inoltre – prosegue La Verità – già dal mese di maggio del 1940 la Grecia metteva «segretamente» a disposizione degli inglesi «punti di appoggio per l’offensiva contro l’Italia», malgrado allo scoppio della Seconda guerra mondiale lo Stato ellenico aveva proclamato la sua neutralità. Gli evergeti, finanzieri greci filantropi assimilabili ai vari Soros dell’epoca attuale, puntarono a loro volta tutto sulla «potenza britannica», sperando «negli utili che eventualmente [avrebbero potuto] ricavare da una pretesa vittoria inglese». Nel frattempo – spiega La Verità – da una parte, «il governo di Londra aveva largamente finanziato il riordinamento armamentale dell’esercito greco», mentre dall’altra «si serviva occultamente della diplomazia greca per cercare di complicare nei Balcani la situazione politica nei riguardi di quella dell’Asse».
Ultimatum e guerra
Il Ministro degli Affari Esteri, Galeazzo Ciano, esasperato dal costante atteggiamento anti-italiano dello Stato ellenico, «chiese al suo ambasciatore ad Atene di sondare la possibilità di assassinare il re di Grecia». Il progetto, però, fu abbandonato quando l’offensiva inglese contro l’Italia stava per divenire realtà. Mussolini, fortemente preoccupato, diede il compito a Ciano di redigere – il 20 ottobre – un ultimatum alla Grecia, tramite il quale l’Italia chiedeva la facoltà di occupare «alcuni punti strategici» del territorio greco fino alla conclusione del conflitto con l’Inghilterra, minacciando di ricorrere all’uso della forza se le unità greche si fossero opposte. L’ultimatum fu consegnato a Metaxàs il 28 ottobre (anniversario della marcia su Roma) dall’ambasciatore italiano ad Atene, Emanuele Grazzi, il quale cercò in tutti i modi di indurre il dittatore greco a evitare la guerra, pregandolo di accettare le richieste formulate nell’ultimatum. Ma Metaxàs – esaltato dall’appoggio occulto degli inglesi e dal profondo legame con re Giorgio – disse che ciò era «impossibile», e convocò subito il consiglio dei ministri, chiamando l’ambasciatore britannico, Michael Palairet, per chiedere l’immediata assistenza del Regno Unito, in particolare forniture di forze aeree e l’invio della flotta inglese nelle acque elleniche. Era arrivata la guerra.
Il giornale La Verità, tuttavia, rammenta che «la motivazione essenziale della dichiarazione di guerra dell’Italia alla Grecia è stata quella di aver contravvenuto agli stretti doveri della neutralità dichiarata dal governo di Metaxàs». In sostanza – spiega il giornale – «l’Italia ha intrapreso la guerra alla Grecia non per togliere l’indipendenza ad un popolo, che non sente, del resto, lo stimolo di una vera indipendenza poiché s’é scelto un padrone (l’Inghilterra), ma per immobilizzarla nella intenzione del suo governo di servire [Londra] ai danni dell’Italia, ponendole a disposizione parti del suo territorio e delle sue acque». Fu quindi l’Inghilterra a sospingere la Grecia «verso la guerra contro l’Italia», conclude La Verità.
Vittoria sofferta
Le truppe italiane entrarono in Grecia il 28 ottobre durante le prime ore del mattino. Dopo un breve successo iniziale, Il maltempo ostacolò ben presto l’avanzata delle truppe: le forti piogge ingrossarono il corso dei torrenti e trasformarono i sentieri in strisce di fango, con gli alpini della “Julia” che si ritrovarono a doversi aprire la strada lungo viottoli in mezzo a boschi. Per tale ragione, la campagna di Grecia fu soprannominata dagli alpini la “Campagna del fango“. Le piogge ostacolarono anche l’intervento dell’aviazione, annullando in parte il principale vantaggio di cui godevano gli italiani: furono condotti bombardamenti nelle retrovie greche contro i porti di Patrasso e Prevesa, contro il canale di Corinto e l’aeroporto di Tatoi, vicino ad Atene, ma – a causa del maltempo – vi furono seri problemi nel supporto ai reparti avanzanti nell’Epiro. Bisognerà tuttavia attendere le truppe tedesche, nell’aprile del 1941, per giungere alla vittoria tanto auspicata.
Considerazioni finali
Per concludere, possiamo dichiarare che la Campagna di Grecia – contrariamente a quanto affermato dalla storiografia accademica – non fu dettata da stimoli espansionistici o imperialistici. Con essa – come abbiamo dimostrato – si volle in sostanza impedire l’offensiva bellica inglese contro l’Italia, che sarebbe dovuta partire proprio dalla Grecia. Fu quindi una guerra difensiva, non una guerra imperialista. Combattere i greci significava in sintesi combattere gli inglesi e, con essi, l’infame Libera Muratoria, che da tempo operava da dietro le quinte – accanto alla Corona inglese – a favore della sconfitta dei nuovi Stati fascisti. Probabilmente aveva ragione Galeazzo Ciano, quando – poco dopo l’inizio della Campagna di Grecia – ebbe a dire con tenacia: «Si vis pacem, para bellum», ossia “Se vuoi la pace, prepara la guerra”.
Di Javier André Ziosi
L’Inghilterra è sempre stata una Nazione saccheggiatrice ed ammaliatrice.. non mi sorprende se, in ottica, antifascista, essa abbia soggiogato un governo come quello greco, già in procinto di passare al nemico. Mussolini faceva bene a preparare una guerra difensiva, conosceva già bene la natura furbesca degli inglesi.
Ottimo articolo. Molto esaustivo e ricco di colpi di scena. Continua così !
Articolo che ha colmato una lacuna gigantesca, mettendo in mostra il vero volto dell’Inghilterra, la perfida Albione che aveva fatto della Grecia un sorta di stato satellite al servizio degli interessi inglesi. Saluti camerateschi da Lugano
Inghilterra sono sempre stati infami sepesamente per quello che anno fatto a indiani americani. Volevano sotto mettere pure italia come anno fatto con anerica
Verità che non si leggono nei libri di scuola.
Mio nonno ha fatto la Campagna di Grecia. Mi ha detto che i loro viveri venivano dati alla popolazione locale, che moriva di fame sotto il regime di Metaxas. Quando sento dei presunti crimini italiani in Grecia divento nero! Quali crimini???? Abbiamo solo fatto del bene in Grecia. Articolo obiettivo. Da leggere con attenzione.
I massoni che manovravano il buon Mussolini dall´ interno del governo e che lo fecero poi arrestare, al servizio permanente degli anglo-ebrei, hanno fatto compiere all´ Italia, inaffidabile appunto causa questi ” legion d´onoeur” antelitteram, nei gangli del potere, dei quali il Duce non seppe liberarsi nel dovuto tempo, la mossa piu´ deleteria dell´ Intera seconda guerra mondiale ai danni della Germania. Come riconobbe Il Führer Adolf Hitler, egli apri un nuovo fronte nei Balcani neutrali che hanno danneggiato enormemente la condotta di guerra tedesca ritardando l´Operazione Barbarossa e costringendo le armate tedesche a distogliere mezzi e uomini dal programma piu´importante. In questa ottica la condotta italiana, opera di menti astute massoniche silenti, influenti sull´ignaro Mussolini, fu deleteria anche per le alienazioni del mondo arabo dovute alla nostra condotta in Africa. Se confrontiamo la condotta del Presidente Putin, in questi 20 anni, e specialmodo negli ultimi possiamo capire quanto sia difficile reggere le sorti di uno Stato posto nel mirino dell´ anglo-ebraismo con infiltrazioni per far fronte alle quali bisogna la folle malvagita´di uno Stalin.