1940: Perchè combattiamo. Cause e ragioni che portarono l’Italia in guerra
Pubblicato a Roma nel 1941 dall’Ufficio Stampa e Propaganda del P.N.F. (Arti Grafiche Antonio Urbinati), il seguente saggio, scritto da un membro del partito fascista che – per qualche ragione – ha voluto rimanere anonimo, ripercorre le origini della Seconda guerra mondiale dal punto di vista italiano (senza menzogne propagandistiche o forzature ideologiche tipiche della storiografia anglosassone), mostrando le vere – e ormai dimenticate – ragioni che, nel 1940, portarono l’Italia in guerra affianco della Germania di Hitler. Buona lettura!
Trattato di Versailles
Il 28 giugno 1919 fu firmato il Trattato di Versailles fra i ventisette Stati che componevano l’Intesa e la Germania. Quella che avrebbe dovuto essere l’ultima e conclusiva parola della Grande Guerra e la prima ferma parola di una lunga pace, fu invece la determinante di un tale insieme di ingiustizie fra i popoli, che apparvero subito all’orizzonte i segni rossi di un’altra guerra.
Ingiustizie verso i popoli vinti; ingiustizie verso una parte dei vincitori e, precisamente, verso l’Italia.
L’Italia, che aveva dato alla vittoria un contributo decisivo, fu costretta a subire dai suoi alleati una pace ingiusta, che non considerava né il sangue versato dai suoi figli sui comuni campi di battaglia, né i sacrifici compiuti dal suo popolo, né le più elementari e fondamentali esigenze di vita e di sviluppo del paese. La tragica statistica sia ricordata dagli italiani: nella Grande Guerra, i caduti inglesi furono il 2% della popolazione dell’Impero inglese, i caduti francesi furono il 15% della popolazione dell’Impero francese, i caduti italiani furono il 19% della nostra popolazione. I profitti territoriali furono, invece, i seguenti: per ogni caduto, l’Inghilterra ebbe due chilometri quadrati di ricchi territori coloniali, la Francia mezzo chilometro quadrato e l’Italia, dopo molti stenti diplomatici, ebbe, per ogni caduto, un quarto di chilometro quadrato di aridissima sabbia!
La Germania fu privata di tutte le sue colonie, tagliuzzata nel suo territorio metropolitano, disarmata, impoverita.
Indipendentemente dal fatto di essere stati alleati o nemici, a Versailles furono tese all’estremo le distanze fra paesi capitalistici e ricchi di vasti imperi coloniali e di ogni bene della terra, e popoli poveri di territori e di materie prime, costretti a vivere nell’angustia dello spazio e nel consumo della quotidiana esasperata fatica.
Il capitalismo vibrò a Versailles il colpo più violento della propria ingordigia: soffocare 80milioni di uomini civili. E fu quello l’ultimo colpo del dominio dell’oro.
Tradita dai suoi alleati che aveva salvato, provata da un’esperienza che le era costata 680mila morti, milioni di feriti, miliardi e miliardi di lire di spese e di perdite, l’Italia si trovò di colpo nella necessità di cercare una strada per il cammino del suo popolo, e di cercarla da sé, contro l’ostilità di un mondo che nuotava nell’oro e le sbarrava con ogni mezzo l’avvenire.
Questa strada poteva essere segnata e battuta solo da chi, non rinnegando il nostro sangue e la nostra vittoria – anzi, nel nome del nostro sangue e della nostra vittoria –, dava al popolo italiano un valore assoluto, una volontà umana operante nel lavoro al disopra e contro il negativo e convenzionale dominio dell’oro.
Tanto ha fatto il Fascismo.
Analoghi problemi di vita e di avvenire ha dovuto affrontare, dopo Versailles, la Germania.
E l’attuale conflitto è la risposta definitiva dei fatti contro quel gruppo di potenze che credeva di aver potuto consumare impunemente a Versailles il più grande delitto della Storia.
Impero inglese
L’Impero inglese è il più grande impero coloniale del mondo. La sua superficie è uguale alla terza parte della superficie di tutti i continenti. Impossessandosi di tante vaste e ricche regioni, l’Inghilterra ha privato altri popoli, primi fra questi l’italiano e il tedesco, della parte di spazio e di prodotti necessari al loro lavoro, alla loro vita e al loro sviluppo: basta considerare il fatto che, in media, ogni inglese dispone di 740 metri quadrati di territori coloniali ricchi di materie prime, mentre ogni italiano dispone in media di 79 metri quadrati di territori coloniali poveri di prodotti.
Questa situazione di gravissima insufficienza di mezzi di vita per l’Italia, determinata dall’enorme e sproporzionato accaparramento di mezzi di vita da parte dell’Inghilterra, si è resa intollerabile in questi ultimi anni, ma già ebbe inizio alla fine del ‘700 e si consolidò durante il secolo scorso. Via via che nel secolo scorso l’industria si andava sviluppando, taluni prodotti minerari, vegetali e animali, tenuti in nessun conto prima d’allora, assumevano un carattere d’indispensabilità ed il valore di materie “prime”, fondamentali allo svolgimento dei procedimenti industriali. Però molte di queste materie non esistevano nei territori nazionali dei singoli paesi europei, ma si potevano trovare solo in altre parti del mondo, abitate da popoli meno civili. Alcuni Stati europei, primo fra tutti l’Inghilterra, intrapresero la conquista di queste lontane regioni per avere in mano la maggiore quantità possibile di materie prime. L’Inghilterra approfittò allora del fatto che l’Italia e la Germania non potevano ostacolare la sua brutale rapacità, perché le loro migliori energie erano impegnate nella risoluzione di più urgenti problemi nazionali.
Intanto, in Inghilterra, per il grande afflusso di materie prime provenienti dai territori coloniali, fiorivano le industrie, mentre si potenziava la flotta mercantile e da guerra e si accumulavano ricchezze, sicché la potenza industriale si trasformava in potenza politica e militare, volta a tenere in soggezione i territori sottomessi e gli altri Stati europei, che dovevano così tollerare la condanna ad una eterna povertà.
La pirateria inglese, che era stata la delizia e l’orgoglio della regina Elisabetta e che aveva posto le prime fondamenta dell’Impero, indicò ai successori – ammiragli e governatori – la ferocia spietata da usare per conquistare le preziose colonie. Il commercio degli schiavi – che veniva praticato da legali società inglesi alle quali partecipavano, con funzioni direttive, membri della famiglia reale – istruì i colonizzatori inglesi sui metodi da impiegare per lo sfruttamento dei paesi sottomessi. E i discepoli hanno superato i maestri.
Poiché la flotta era l’unico mezzo di coesione, ossia l’arteria dell’impero, l’Inghilterra, per avere il dominio del mare, si impadronì anche di tutte le porte utili del mondo: Gibilterra, Malta, Suez, Aden, Singapore, Capo di Buona Speranza, munendole di fortezze e facendole presidiare da navi.
Istallatisi così, con l’intrigo, col tradimento e col delitto, sul trono del più vasto impero del mondo, gli inglesi si diedero a condurre senza ritegno una vita da padroni della Terra.
La bestiale voracità degli inglesi divenne proverbiale e assunse un titolo di orgoglio. Gli inglesi furono “il popolo dai 5 pasti” in mezzo ad un’umanità travagliata dall’ansia di procacciarsene uno solo.
Popolo dei 5 pasti
Dalle varie terre dell’impero, le carni più pregiate, i frutti più saporiti e i grassi più ricchi affluivano, prima della guerra, sulla tavola degli inglesi, i quali avevano solo la funzione di consumare tutto ciò che gli altri producevano. Il 30% di tutte le esportazioni mondiali di generi alimentari era assorbito, prima dell’attuale conflitto, dall’Inghilterra, dove la produzione nazionale di alimenti non raggiunge il 25% del consumo locale. L’Inghilterra importava tra gli altri generi: l’80% del frumento necessario al suo consumo, il 40% di orzo, il 100% di mais, l’85% di burro, il 75% di formaggi, il 66% di uova, il 50% di carni bovine, il 75% di carni suine, il 70% di frutta e ortaggi, l’80% di latte, il 70% di olii.
Chi veste l’inglese
L’Inghilterra non produce quasi nulla per vestire gli inglesi. Prima del conflitto importava l’80% di lana necessaria al suo fabbisogno, il 100% di cotone, il 100% di seta, il 100% di lino, il 100% di canapa. Nelle lontane terre dell’impero, interi popoli impiegano da qualche secolo la propria vita per vestire gli inglesi, per adornare i castelli e le case di tappeti e di stoffe e le donne superbe di perle, di brillanti, di preziose pellicce.
In cambio, gli inglesi hanno concesso a questi popoli il privilegio di rimanere nudi, mentre nel territorio nazionale erigevano, sullo sfruttamento raccapricciante dei bambini e delle donne, la grande industria tessile: una delle colonne del loro imperialismo finanziario.
Come lavora l’inglese
Oltre che di prodotti alimentari e di prodotti tessili, l’Inghilterra difetta di materie prime per le industrie. Prima della guerra, l’Inghilterra importava il 100% del suo consumo di rame, il 100% di stagno, il 100% di petrolio, l’85% di nichelio, il 100% di caucciù, il 40% di minerali di ferro, il 70% di legname, il 60% di pasta di legno, il 90% di potassa, il 70% di fosfati, per dire solo di alcune materie prime industriali. Milioni di sudditi dell’Impero sono condannati come schiavi a scavare nelle miniere o ad abbruttirsi nelle foreste equatoriali perché gli industriali inglesi possano accumulare ricchezze. Su quattro continenti, e a danno di tutti e cinque, gli inglesi hanno rapinato i mezzi necessari della propria egemonia.
Tenore di vita
Padroni di un terzo del mondo, gli inglesi, che abitano un territorio molto povero, godono del lavoro di centinaia di milioni di uomini e dei prodotti di vaste regioni molto ricche. Perciò, il tenore di vita degli inglesi, prima della guerra, era molto alto e superava di quasi cinque volte il tenore di vita degli italiani, costretti a lavorare faticosamente in un piccolo spazio. Prima dell’attuale conflitto, ogni inglese guadagnava in media 15mila lire annue, mentre ogni italiano non ne guadagnava in media che 3mila. Ora, non c’era nessuna ragione che potesse giustificare il perpetuarsi di un simile stato di cose, al difuori di quella di riconoscere agli inglesi, a priori, il diritto di vivere cinque volte meglio di noi.
Popolo giovane, popolo vecchio
Per ogni cento individui della popolazione italiana, quarantotto sono di età inferiore ai 25 anni, mentre per ogni cento individui della popolazione inglese, solo trentasette sono di età inferiore ai 25 anni. Inoltre, in Italia, annualmente nascono ventiquattro bambini per ogni 100 abitanti, mentre in Inghilterra ne nascono soltanto quindici. Il numero dei giovani in Italia tenderà, perciò, sempre ad aumentare, e in Inghilterra sempre a diminuire. Per questi motivi si dice che l’italiano è un popolo “giovane” e l’inglese è un popolo “vecchio”.
Naturalmente, un popolo giovane è un popolo in espansione: di anno in anno diventa più numeroso, più forte, più attivo e, contemporaneamente, aumentano le sue esigenze di vita e i suoi diritti nel mondo. Costringerlo a vivere oggi nello stesso spazio di ieri e con la stessa quantità di mezzi di ieri, vuol dire affamarlo e condannarlo alla morte. E contro tale condanna esso non può che reagire con la guerra.
Per le ragioni opposte, un popolo “vecchio” come l’inglese è un popolo in decadenza, che, avendo esaurito le sue capacità direttive in seno all’umanità, deve “collocarsi a riposo” e lasciare ai popoli giovani, per diritto naturale, la direzione degli affari facenti capo a lui.
Quando esso si ostina a difendere, con la ferocia del cieco egoismo, i propri privilegi, l’esito del conflitto, comunque aspro, non può che segnare la sua definitiva scomparsa.
Lavoro italiano
Mentre il popolo inglese consumava i suoi cinque pasti succulenti, si vestiva con le stoffe più pregiate, si circondava di agiatezze e di lusso, potenziava le proprie industrie con le più abbondanti materie prime e sventolava sulla faccia del mondo l’alterigia del padrone e la superbia del falso dominatore, il popolo italiano si tracciava, col sudore e con le sofferenze dei suoi figli, il faticoso sentiero per il suo cammino. Superato gloriosamente il travaglio del Risorgimento e costituita l’unità nazionale, noi ci trovammo in un mondo che fingeva di ignorarci.
L’Inghilterra era nella sua piena attività imperialistica e trasformava, l’una dopo l’altra, in proprie colonie, le varie regioni del mondo ove già le compagnie commerciali inglesi avevano intessuto, con l’uso d’ogni viltà, una fitta rete d’interessi e d’intrighi. La Francia, l’Olanda, il Belgio, superato rapidamente il periodo napoleonico, erano anche riusciti, o stavano per riuscire, a costituirsi i loro imperi coloniali. L’Italia era tutt’al più considerata un comodo vicino mercato di consumo e, a tal fine, si favorì il formarsi, da noi, di una moda esotica e di un gusto morboso per ogni prodotto straniero. In cambio, noi avevamo un solo patrimonio negoziabile: il lavoro delle nostre braccia e del nostro pensiero, e tale patrimonio noi offrivamo con insistenza, per necessità immediate di vita, svalutandolo. Il territorio della patria non era tanto vasto e tanto ricco da ospitarci tutti, e dal 1870 all’avvento del Fascismo, 17milioni di italiani dovettero immigrare.
Ma tutte le volte che l’Italia ha impugnato le armi per difendere il proprio diritto, il diritto del suo popolo e del suo avvenire, da un capo all’altro del mondo gli italiani emigrati sono tornati in gran numero per combattere accanto ai propri fratelli. Nella Grande guerra, in Etiopia, in Spagna e nell’attuale immane conflitto, gli italiani, già residenti all’estero, sono stati e sono – valorosi fra valorosi – nelle file dei volontari.
Perché combattiamo
Seppur in modo sommario, è stato sufficientemente chiarito, nelle pagine precedenti, che il popolo italiano non può vivere nelle limitate condizioni di spazio in cui è costretto.
Al principio del secolo scorso, l’Italia contava appena 18milioni di abitanti, oggi ne conta 45milioni. Dove prende i mezzi di vita una popolazione due volte e mezzo più numerosa? All’interno tutto è stato fatto: prosciugate le paludi, bonificati i campi, rinnovate le città, eretti i nuovi ponti, costruite nuove strade e scrutate le viscere della terra, nonostante gli Stati imperialisti ci facessero la più insidiosa guerra finanziaria.
Fuori dall’Italia, ogni nostro tentativo di guadagnarci con le armi un posto al sole, ha trovato l’Inghilterra e la Francia sempre contro di noi: nella guerra libica, il nemico fu armato dall’Inghilterra e dalla Francia, e si trattava di prendere della sabbia; nella Grande Guerra, l’Inghilterra e la Francia, da noi salvate, non ci diedero nulla dopo che noi demmo tutto; nell’impresa etiopica, l’Inghilterra organizzò, con cinquantadue Stati, il nostro strangolamento economico, e armò il Negus.
Eppure, queste nostre imprese coloniali non miravano alla conquista di territori ricchi di materie prime (tutti, da tempo, in mano dell’Inghilterra e degli altri imperi), ma di territori solamente atti ad assorbire una parte di quella popolazione e di quel lavoro italiano che la Patria non poteva trattenere.
In Africa abbiamo trasformato i deserti in giardini, abbiamo costruito migliaia di chilometri di strade nelle regioni equatoriali, abbiamo operato trasmigrazioni di decine di migliaia di lavoratori, ma tutto questo, se dimostra la nostra virtù e la nostra volontà, non poteva esaurire il problema della vita e dell’avvenire del popolo italiano. Dall’altra parte, cioè da quella inglese, la nostra ansiosa ricerca di una soluzione è stata, in tutti i modi, sempre ferocemente ostacolata.
Ora, devono vivere o non devono vivere 45milioni di uomini civili? Deve un popolo giovane, vitale e laborioso, che ha al suo attivo la storia più gloriosa, e che è soffocato nella sua stessa terra e nel suo stesso mare da altri popoli rapinatori, affrontare il problema della propria vita, con le ragioni e la decisione della legittima difesa?
Per questo noi combattiamo.
Perché abbiamo bisogno di terra per i nostri alimenti, di materie prime per le nostre industrie, di mare libero per i nostri commerci. Perché abbiamo bisogno di essere certi che i nostri figli potranno lavorare e vivere senza i nostri stenti e le nostre sofferenze.
Noi non vogliamo che quello che ci è necessario per la nostra vita di popolo lavoratore e che gli inglesi detengono per i loro lussi immorali.
Come si è visto fin qui, per ottenere ciò, è indispensabile distruggere l’Impero inglese e gli strumenti dell’imperialismo inglese, cioè il dominio e la civiltà dell’oro.
La sola realtà operante è il lavoro dell’uomo, e il mondo che sorgerà da questo conflitto non potrà essere che un mondo basato sul valore effettivo del lavoro e sulla giustizia sociale.
Perché combattono gli inglesi
L’Inghilterra combatte perché, come ha detto Halifax, «non ha altra scelta».
Essa combatte, infatti, solo per difendere la propria posizione di privilegi, di predominio, di ricchezza. È il combattimento del colpevole che sta per essere inesorabilmente raggiunto e si difende come può. Essa sa che la condanna dovrà essere scontata sino in fino e tenta la sorte, con tutti i mezzi che ha.
Finché ha potuto, ha trafficato con la diplomazia, con le promesse, con l’oro, con il tradimento, sempre con l’inganno, per dividere gli altri popoli, contrapporli tra di loro e così dominarli tutti. A un certo momento questo giuoco è fallito ed ha tuonato il cannone. Allora l’Inghilterra ha moltiplicato i suoi intrighi chiamati “garanzie” e ha mandato al massacro, per la difesa del proprio egoismo, tutti i popoli che ha potuto. Alla fine, è rimasta sola ed ha mobilitato gli uomini del suo Impero, dal Canada all’India, all’Australia, alla Nuova Zelanda, al Sud Africa, alla Nigeria, alla Sierra Leone, per contrapporli all’attacco che l’Italia sferrava contro la “via imperiale”.
L’Inghilterra ormai non aveva, anche su questo, «altra scelta».
Le figure più fosche e più losche dell’affarismo internazionale, gli eredi naturali dei pirati, dei commercianti di schiavi e dei venditori di oppio, che sono – e molto propriamente – “pari” d’Inghilterra, sanno che la loro sorte è segnata. Inutilmente essi tentano di resistere con le forze pesanti di un impero vastissimo. Inutilmente essi chiedono aiuti ai cointeressati amici d’oltre oceano.
La resistenza delle isole inglesi è tutta dipendente dal mare e l’Inghilterra vede di giorno in giorno ridursi i traffici marittimi ed il volume delle importazioni.
Importerà in cambio il ferro e il fuoco delle Forze dell’Asse.
Da bloccante a bloccata
Alla vigilia dell’attuale conflitto, l’Inghilterra provvedeva alla sua indispensabile importazione con una marina mercantile da carico di 16milioni di tonnellate lorde. Queste navi effettuavano trasporti alle Isole inglesi da paesi vicini (Svezia, Norvegia, Danimarca, Olanda, Francia), da paesi meno vicini (tutti quelli del bacino mediterraneo), da lontani paesi orientali (India, Australia, Nuova Zelanda, Cina, ecc.), da paesi occidentali (le Americhe) e da paesi del Sud Africa.
Per l’azione bellica tedesca, tuttavia, l’Inghilterra si è privata dei trasporti dai paesi vicini.
Per la partecipazione dell’Italia al conflitto, invece:
1) l’Inghilterra ha dovuto privarsi delle importazioni dai paesi mediterranei, sostituendole in parte – poiché costretta ad allungamenti di rotte – con importazioni da paesi lontani;
2) l’Inghilterra non ha potuto più seguire la rotta mediterranea per i trasporti dall’oriente, ma segue oggi la lunghissima rotta del Capo di Buona Speranza. Questi vari allungamenti di percorsi significano praticamente una riduzione dell’efficienza della marina mercantile inglese, come se la marina stessa si fosse ridotta di 4milioni di tonnellate;
3) l’Inghilterra ha dovuto distrarre 3milioni di tonnellate di navi da carico per trasporti militari contro le forze italiane;
4) l’Inghilterra deve mantenere nel Mediterraneo, contro l’Italia, ben 500mila tonnellate di navi da guerra, riducendo così, per minore possibilità di tutela dei convogli mercantili, di un altro milione di tonnellate l’efficienza della marina da carico.
A questa complessiva riduzione di 8milioni di tonnellate si aggiungono 7milioni di tonnellate affondate, sino a febbraio 1941, dall’azione aeronavale dell’Asse.
L’Inghilterra ha potuto sostituire in parte i 15milioni di tonnellate che le son venute a mancare sui 16milioni che in tutto ne possedeva, con 10 milioni di tonnellate prese ad altri Stati o avute in aiuto dall’America. Ha subìto di già, cioè, una perdita di 5milioni circa di tonnellate di naviglio mercantile.
L’arma del blocco puntata contro i popoli dell’Asse è stata subito rivoltata contro l’Inghilterra in modo inesorabile.
Decadenza dell’Inghilterra
Via via che i popoli giovani d’Italia e di Germania hanno acquistato, oltre all’unità nazionale, anche una coscienza nazionale e la coscienza del proprio valore e della propria funzione nel mondo, i popoli imperialisti hanno manifestato in tutti i settori segni della decadenza. Parallelamente al progresso dei primi, c’è stato il regresso dei secondi. In Inghilterra, il dato fondamentale della decadenza è la natalità. Nel 1900 nascevano nelle Isole inglesi 30 bambini per 1000 abitanti, nel 1940 ne sono nati soltanto 15: la metà! Altri dati sono offerti dalle industrie: dati di massima importanza perché l’Inghilterra è un paese essenzialmente industriale. In quest’ultimo ventennio (1920-1940), le industrie italiane, per l’enorme sforzo del Regime, sono pressoché raddoppiate. In Inghilterra, invece, le due industrie principali (quella cotoniera e quella del carbone) hanno subìto, nello stesso ventennio, una contrazione significativa: la prima una contrazione del 33% e la seconda una contrazione del 40%.
Ancora un segno impressionante è espresso dalle flotte mercantili. Sempre nel ventennio 1920-1940, il tonnellaggio della marina mercantile italiana è aumentato dell’85%, mentre il tonnellaggio della marina mercantile inglese si è ridotto – a parte le cause belliche – del 10%.
Questi dati dicono, più di ogni altro lungo discorso, che l’Inghilterra ha indietreggiato dinnanzi all’avanzare dei popoli d’Italia e di Germania; che, nel detenere ancora il suo Impero, si rende sempre più rea di lesa umanità; e che, per ragioni naturali di cose, per ragioni di giustizia umana, oltre che per la volontà e la forza dei popoli dell’Asse, la sua sconfitta non può essere dubbia.
Di Anonimo