Atlantide: la civiltà perfetta? Riflessioni inedite di Elizabeth Pepper e John Wilcock
È esistita una società perfetta? Se lo sono chiesti i ricercatori Elizabeth Pepper e John Wilcock, che, con fonti e documenti alla mano, hanno ripercorso la leggenda di Atlantide attraverso una nuova e inedita prospettiva.
L’idea romantica di un’antica civiltà isolana, e isolata, che fiorì meravigliosamente per poi sparire all’improvviso nell’oceano, è comune a molte culture, ed esiste e resiste da migliaia di anni. In quella terra la magia era sovrana, così sostiene la tradizione, e molti sono stati i suoi mistici segreti, andati persi per sempre. I fortunati abitanti erano ricchi, potenti, saggi e, soprattutto, felici: vivevano in perfetta armonia con la natura e il loro unico desiderio era quello conservare la felicità che già possedevano.
Nel corso dei secoli, questa utopia – la terra perfetta, dove l’attuale tecnologia inquinante è sconosciuta e inutile, e dove vi è sempre pace – è diventata il rifugio di tutti i nostri sogni più folli e delle nostre fantasie più sfrenate. È una leggenda che si rinnova continuamente: Shangri-la, Bali-hai, Brigadoon sono state, tra le altre, le manifestazioni letterarie di questo antico sogno di felicità. È, in fondo, un mito comodo e tuttofare, che ci permette di misurare i nostri limiti, le nostre incapacità e inadeguatezze nei confronti di un ideale a cui attribuiamo un’impossibile perfezione.
Ma il mito è così persistente, e così numerosi sono i luoghi dove l’esistenza dell’isola magica è stata ipotizzata (dall’Atlantico al Pacifico, dall’Egeo al mar dei Sargassi), che non sembra irragionevole pensare che sia veramente esistito un paese, forse anche più di uno, dove una siffatta civiltà sia improvvisamente scomparsa, lasciando dietro di sè la sensazione, e poi la leggenda, di un luogo meraviglioso e incantato.
Una versione egiziana di questa leggenda, conservata in un papiro nel Museo di Leningrado, narra di un viaggiatore che fece naufragio mentre era in viaggio per raggiungere le miniere del faraone, e che fu gettato su una spiaggia insolita e sconosciuta. Lì incontrò un bellissimo drago d’oro che gli disse: «Questa è l’isola degli uomini felici, dove tutto quel che il cuore desidera può essere trovato». Egli sarebbe stato salvato dalla sua gente – il drago gli predisse – ma «mai più tu vedrai quest’isola, perché sarà sommersa dalle onde».
Un secolo dopo, è sempre in Egitto, dice Platone, che ha origine la leggenda di Atlantide. Attorno al 355 a.C., il filosofo mise per iscritto, per la prima volta, quel che si conosceva essere il dialogo fra Socrate e due suoi amici, Crizia e Timeo, nel quale si parla del regno di Atlantide, terra che era già da lungo tempo scomparsa. È un racconto di seconda mano, visto che il protagonista è Solone, progenitore di Crizia, il leggendario legislatore ateniese, che, più di un secolo prima, aveva visitato l’Egitto.
Secondo quel che scrive Platone, durante il soggiorno di Solone in Egitto, egli si incontra con alcuni sacerdoti di Sais, antica città sul delta del Nilo, e in una discussione sulla storia antica essi si beffano della sua cultura, che considerano incompleta, persino per quanto riguarda il suo stesso paese. Le cronache che riguardano Sais, asseriscono i sacerdoti, tornano indietro nel tempo di almeno 8.000 anni, poiché l’Egitto è terra sacra, che le divinità proteggono. E i manoscritti di Sais, sostengono ancora i sacerdoti, contengono la descrizione di una guerra tra gli ateniesi e un’antica popolazione che abitava una grande isola dell’oceano Atlantico.
«C’erano altre isole vicino a questa», dicono i sacerdoti, «e al di là, oltre l’oceano, un grande continente. Questa isola, chiamata Poseidone o Atlantide, era governata da re, i quali regnavano anche sulle terre vicine e possedevano inoltre la Libia e alcune isole del Mar Tirreno. Quando l’Europa fu invasa dalle armate di Atlantide, il coraggio di Atene, che era a capo della coalizione greca, salvò la Grecia dal giogo degli invasori. Questi eventi precedettero di poco una terribile catastrofe: un fortissimo terremoto scosse la terra e violente piogge incessanti la allargarono. Le truppe greche morirono, e Atlantide fu inghiottita dalle acque dell’oceano».
Questo è il passo tratto da Timeo, ma la storia di Atlantide è descritta anche più dettagliatamente in Crizia, dove si dice che lo sprofondamento di Atlantide è avvenuto 9.600 anni prima di Platone; e si descrive in dettaglio del governo del paese, che è rappresentato come un luogo ricco e fertile, con una civiltà molto progredita. Secondo Platone, c’erano pianure coltivate, foreste con alberi di specie sconosciute e molte miniere dalle quali si estraevano metalli e pietre preziose. Il filosofo parla anche, con grande ammirazione, di un meraviglioso metallo (oreichalkos in greco), che riluceva come l’oro e possedeva qualità magiche.
L’occultista inglese Anthony Roberts, nel suo saggio I giganti della terra, cita altri testi classici per provare che gli atlantidei praticarono e caddero in preda alla magia nera, «e così furono distrutti dalla loro obbedienza ai poteri oscuri dello spirito del Male». Roberts pensa che la leggenda di Atlantide non sia solo una favola, e che una civiltà esistette davvero, nel mezzo dell’oceano Atlantico, migliaia di anni prima dell’èra cristiana. «Quel che realmente fu non ha niente a che vedere con quello che gli studiosi classici intendono o capiscono. Loro riescono solo a dare una pallida e poco chiara idea della reale grandezza di quella civiltà, che realmente è esistita».
Quasi tutti gli scrittori che hanno parlato della leggenda di Atlantide (da Platone in poi sono stati pubblicati più di 2.000 libri sull’argomento) hanno dovuto affrontare lo stesso problema di fondo: il racconto di Platone è realtà o finzione? Tra coloro che nell’antichità ne parlano, come Giamblico, Porfirio e Origene, le interpretazioni sono diverse, anche se, in fondo, tutti sembrano sostenere che il racconto abbia un certo fondamento. Quelli che ne discutono più tardi, parlano soltanto per mezzo della loro fantasia, o attraverso lo specchio dei loro desideri e delle leggende che i secoli hanno accumulato sopra una storia così affascinante.
Il fatto è che la reputazione di Platone non basta. Nella sua lunga vita scrisse sia cose reali che cose fantastiche, ed è molto probabile che sia stato capace di produrre una favola allegorica, per descrivere la sua versione, ideale, di una “società perfetta”.
La favola di Atlantide potrebbe anche essere, come spesso accade con le storie, la versione personale di un racconto il cui corpo centrale contiene cose veritiere, ma da lui modificato, per ricavarne la storia desiderata.
Lyon Sprague de Camp, nel suo libro Continenti perduti: il tema di Atlantide nella storia, scienza e letteratura, arriva alla conclusione che: «Platone ha scritto, si, una storia affascinante, che ha avuto una grande e durevole influenza nella letteratura e nel pensiero occidentali, ma che ha poco da spartire con la geologia, l’antropologia o la storia, delle quali sapeva poco o nulla».
Per quasi 1.000 anni, dal VI secolo fino alla scoperta dell’America, il tema di Atlantide è un po’ abbandonato. Ma successivamente riemerge con forza. John Dee, il famoso astrologo della regina Elisabetta I, sfidando sia la ragionevolezza che lo stesso Platone, sostituisce, in una delle sue mappe, l’America con Atlantide, e da lì nacquero una serie di speculazioni tutte nuove. Lo stesso filosofo Francesco Bacone ne discute.
Tra i più appassionati cultori moderni della leggenda di Atlantide annoveriamo il deputato del Minnesota Ignatius Donnelly, che scrisse Atlantide: il mondo antidiluviano, un testo fortunatissimo che pochi anni fa è arrivato alla cinquantesima ristampa; Paul Schliemann, il nipote del leggendario archeologo, che si vantava di possedere alcuni reperti provenienti da Atlantide, ma non li mostrò mai; James Churchward, che scrisse non solo di Atlantide, ma anche di altre due civiltà scomparse, Lemuria e Mu; Madame Helena Blavatsky, che sostenne di aver esaminato, in una delle sue famose trance, un documento manoscritto su fogli di palma, proveniente da Atlantide; e, infine, il filosofo esoterista Rudolf Steiner, che spiegò come gli abitanti di Atlantide avessero posseduto sia il potere magico delle parole che la “forza vitale” e che con una qualsiasi delle due forze erano in grado di realizzare qualunque cosa.
La documentazione più dettagliata, non solo di Atlantide, ma sulle varie teorie avanzate su di essa, è di de Camp, nel suo già citato volume Continenti perduti, dove, in una delle appendici, annovera duecentoquindici diversi «commentatori di Atlantide», precisando la data dei loro scritti e indicando il luogo in cui essi credono sia ubicato questo paradiso sommerso.
«Forse», suggerisce de Camp, «l’improbabilità di Atlantide è la ragione stessa del suo fascino. È una forma di escapismo; la vaghezza della leggenda permette al commentatore di giocare con le supposizioni come un bimbo gioca con il Lego».
Le ipotesi attuali si sono prese molte libertà con il testo di Platone. La sua affermazione che lo sprofondamento di Atlantide sia avvenuto circa 10.000 anni prima della sua nascita è stata considerata o un malinteso o un errore di scrittura. Quel che lui voleva dire, suggeriscono alcuni studiosi contemporanei, è una data molto più recente, ed essi affermano che lo sprofondamento sia avvenuto 1.200 anni prima di Platone. Qualche ragione, anche se debole, per sostenere che i 10.000 anni di Platone sono un anacronismo, esiste davvero: le nazioni più antiche in Europa (Grecia compresa) non riescono a tracciare all’indietro un percorso storico che vada oltre i 3.500 anni. Anche gli stessi egizi e i sumeri (senza tener conto degli “annali” dei sacerdoti di Sais) vanno a ritroso per poco più di 5.000 anni.
È indispensabile, però, mettere in discussione non solo il tempo, ma anche il luogo. L’Atlantide di Platone è un’isola che si trova a occidente delle Colonne d’Ercole (il nostro stretto di Gibilterra), quindi situata da qualche parte nell’oceano Atlantico. Alcuni hanno suggerito nel mare dei Sargassi, riferendosi al fatto che Platone asserì che questo mare divenne non navigabile dopo l’inabissamento di Atlantide. E lo storico Deodoro Siculo parla di un racconto fatto da marinai fenici a proposito di un’isola a Occidente, a «parecchi giorni di navigazione a vela dalle coste dell’Africa». Sarebbe stata un’isola ricchissima d’ogni cosa, dicevano: «Pesci e cacciagione erano abbondanti, il clima delizioso e gli alberi davano frutti in tutte le stagioni dell’anno».
La ricerca di Atlantide è proseguita per secoli, ma nell’oceano Atlantico non s’é trovato nulla che potesse veramente corrispondere alla storia di Platone. Heinrich Schliemann, il noto archeologo tedesco che scoprì Troia e Micene, scrisse a proposito dell’antico papiro del museo di Leningrado, riferendosi ad una spedizione inviata da un faraone della II dinastia (2.890-2.686 a.C.) «alla ricerca di tracce della terra di Atlantide, da dove, 3.500 anni prima, i progenitori degli egizi erano arrivati, portando con sé tutta la saggezza della loro terra». Dopo cinque anni, la spedizione rientrò raccontando che «non avevano trovato né persone, né cose che potessero provare l’esistenza della terra scomparsa».
Naturalmente, la mancanza di tali tracce, a occidente dello stretto di Gibilterra, non significa che Atlantide non sia mai esistita. Alcuni storici contemporanei hanno cominciato a volgere la loro attenzione in altre direzioni, per esempio a est, nell’isola greca di Santorino, che ha avuto una lunga storia di eruzioni vulcaniche, l’ultima delle quali è avvenuta solo trent’anni fa.
È la grande eruzione di 3.500 anni fa, comunque, quella che sembra combaciare meglio con la leggenda di Atlantide. In quel giorno terribile, attorno all’anno 1.520 a.C., l’intero centro dell’isola – un’area di 60 chilometri quadrati – sprofondò nel mare, causando un fall-out di cenere vulcanica che coprì l’isola (allora chiamata Thera) con una coltre di oltre 30 metri. E soprattutto causò un’onda gigantesca che sommerse anche Creta a poco più di 100 chilometri di distanza. Creta e la sua fiorente civiltà, concentrata attorno alla capitale minoica Cnosso, potrebbe essere stata Atlantide; e lo sprofondamento di Santorino potrebbe essere stato la causa della sua scomparsa.
La magnitudine del disastro che colpì Santorino può essere paragonata a una simile eruzione che ebbe luogo, nel 1883, a Krakatoa, tra Giava e Sumatra. La cenere vulcanica, in quell’occasione, raggiunse la stratosfera e fu portata dai venti fino in Europa. Essa trasformò il giorno in notte per un raggio di quasi 200 chilometri e fece un tale rumore (il più grande che si sia mai registrato nella storia) da essere sentito fino in Australia, a più di 3.500 chilometri di distanza.
Eppure, l’eruzione di Krakatoa – dicono gli storici – deve avere avuto un’intensità men della metà di quella registrata a Thera, 3.500 anni prima. Per capire la misura dell’evento, basta considerare la grandezza del cratere, il quale ora è un’immensa baia che separa Santorino dalle altre piccole isole che, un tempo, formavano un unico corpo con la grande isola.
La Santorino di oggi è singolare e abbastanza inquietante. Il traghetto che viene dal Pireo (siamo sulla linea per Creta) ormeggia sotto altissimi faraglioni in cui è stata scavata una strada a zigzag che sale quasi in verticale. In cima, il delizioso Hotel Atlantide è il luogo adatto per ammirare la baia profonda, che, in realtà, è la bocca dell’enorme – e non ancora completamente spento – vulcano.
La strada che conduce al porto ha preso il nome dall’archeologo Spyros Marinatos, professore dell’Università di Atene. E i suoi scavi nell’isola, in particolare nel villaggio abbandonato di Akrotiri, lo convinsero che la colonia minoica lì presente fu quella che dette vita alla leggenda di Atlantide.
«Gli egizi hanno sicuramente avuto notizia dello sprofondamento di un’isola», scrisse il professor Marinatos, «che allora si chiamava Thera, e oggi Santorino, ma non sapevano che si trattava di un’isola piccola e relativamente poco importante. E il terribile evento lo trasferirono, invece, alla vicina Creta, l’isola così gravemente colpita e con la quale persero improvvisamente ogni contatto. E la leggenda di un’intera armata inghiottita derivò dalla notizia della perdita di migliaia di persone. Con la mancanza di logica, e di consequenzialità tipica delle leggende e dei miti, lo stesso Platone non fece caso all’impossibilità che Atlantide, nell’oceano Atlantico, e l’armata ateniese, naturalmente ad Atene, siano affondate insieme e contemporaneamente».
Tra le scoperte fatte nella città sepolta di Akrotiri ci sono i resti di una stupenda pittura murale, di circa 3 x 4 metri, nella quale sei ninfe offrono dei fiori a una dea dai seni nudi, con un pavone a fianco. Il pavone era sacro a Era, dea dell’Olimpo, moglie e sorella di Zeus, alla quale era stato dedicato un magnifico tempio sull’isola di Samo. L’affresco ora è stato portato al Museo Bizantino di Atene. Il professor Marinatos rimase anche un po’ confuso dalla mancanza di vita che i suoi studi rivelavano. «Non abbiamo trovato neanche uno scheletro», disse, «nonostante noi sappiamo che migliaia di persone devono essere morte a causa del terremoto e delle eruzioni vulcaniche».
È certamente vero che un disastro naturale colpì Creta nel 1.500 a.C. e che la fiorente civiltà minoica, che sino ad allora aveva mantenuto regolari contatti con gli egizi, improvvisamente – e senza un’apparente ragione – si arrestò. Da allora, il re d’Egitto Amenofi III instaurò stretti legami con Micene, nel Peloponneso, e Creta scomparve da quegli annali.
Quanto siano stati intensi i contatti tra Creta e l’Egitto non è difficile dedurlo dal taglio egiziano delle rovine di Cnosso e dal ricreato palazzo dell’antico periodo minoico, subito fuori Candia, l’attuale capitale di Creta. Il posto, tra due colline, è veramente tranquillo, bellissimo, e il palazzo (che è stato ricostruito da Sir Arthur Evans, un archeologo inglese che, all’inizio del XX secolo, spese tutta la sua fortuna per rifarlo) è del tutto commovente. Il re Minosse regnò su Creta nel periodo del suo più grande splendore e fra tutte le leggende fiorite attorno al suo nome nessuna è durata più a lungo di quella della creatura fantastica, mezzo toro e mezzo uomo, che – da lui – prende il nome di Minotauro. Questa creatura bestiale era imprigionata in un labirinto, e ogni anno sette giovani e sette vergini gli venivano offerti in sacrificio.
Esso è uno dei primi esempi di labirinto della storia, ed è possibile che abbia ispirato quelli delle chiese medievali: i labirinti piastrellati che i primi cristiani dovevano percorrere a quattro zampe. «Il labirinto», dice uno scrittore d’inizio XX secolo, «dentro al quale è facile entrare, ma molto difficile, se non impossibile, è uscire, è chiaramente il simbolo della vita umana».
Mentre gli scavi di Sir Arthur procedevano, a Cnosso ci fu un piccolo terremoto. Non fece danni, ma ricordò a tutti la credenza minoica che voleva che tali tremori della terra fossero causati dalla divinità terrestre che loro tanto rispettavano: un toro gigantesco che scuote la terra con le sue corna. Anche Poseidone, dio del mare, viene chiamato da Omero allo stesso modo: «lo scuotitore della terra».
Creta, la più grande delle isola greche (e forse anche la più interessante), nel XIX fu il paradiso degli archeologi. I cretesi sono gente forte e di spiccata indipendenza, e tuttora i montanari che risiedono nelle zone più impervie indossano il vecchio costume nero con gli stivali alti. Qualcosa del loro vigore e del loro spirito d’indipendenza può trapelare dai lavori del più famoso scrittore greco, Nikos Kazantzakis, conosciuto da tutti per il suo best-seller Zorba il greco, la cui storia è ambientata sull’isola, dove l’autore visse e morì.
La città più vicina a Cnosso è Candia, che è sempre stata il porto di quella splendida città, e che nel IX secolo, quando gli arabi vi costruirono un forte, raggiunse un suo momento d’importanza. In seguito fu occupata dai veneziani e successivamente dai turchi; e di questi conquistatori rimane qualche traccia. Oggi, con una popolazione di 150.000 abitanti, Candia è una città cosmopolita, tranquilla, il cui fascino incanta i visitatori che si siedono nei caffè all’aperto, da dove possono ammirare e udire la fontana del XVI secolo che si trova nella sua piazza principale. Il pittore El Greco nacque qui vicino, e lo scrittore Nikos Kazantzakis è sepolto presso le sue mura. I traghetti del Pireo la raggiungono ogni giorno.
Ma, alla fine, dobbiamo concludere che, se Atlantide esistette realmente, e se fu veramente in Grecia, si trattò di una tra le tante civiltà, che poi scomparvero.
Atlantide, per molti, è diventata la metafora di una terra scomparsa molto tempo fa, e che, chissà, potrebbe anche ricomparire. In diverse parti del mondo ci sono leggende simili a questa, non ultima quella della “terra perduta della Leonessa”, al largo delle coste della Cornovaglia, dove la gente di re Artù sparì dopo l’ultima battaglia fatale.
Infine, nel XVI secolo, lo storico britannico William Camden annota che i pescatori al largo di quella zona portavano continuamente a galla, nelle loro reti, pezzi di muratura, e nell’area attorno alle isole Scilly, durante la bassa marea, era possibile vedere antiche mura di difesa.
I più grossi inconveniente di questa teoria sono dettati dal fatto che i geologi credono che tutti i cedimenti di terreno ai margini dell’Atlantico (così instabile per ragioni vulcaniche) siano avvenuti molto tempo prima dell’età del bronzo (2.000 a.C.), mentre l’èra di re Artù viene di solito datata attorno al 500 d.C.
È altresì vero che erosioni e sprofondamenti continuano anche ai giorni nostri e innumerevoli sono gli esempi di isole vulcaniche che scompaiono e riappaiono negli oceani con regolarità cronometrica. Datazioni esatte, evidentemente, sono impossibili; si parla solo di ipotesi, ma i geologi dicono che le isole britanniche fecero parte dell’Europa continentale fino a 8.000-9.000 anni prima dell’èra cristiana.
Di Elizabeth Pepper e John Wilcock
Testo forse troppo critico, ma non per questo privo di fascino..