«Fedele al passato e ai miei ideali». Intervista ad Erich Priebke, ex capitano delle SS in Italia

Quella che segue è l’intervista-testamento che Erich Priebke, ex capitano delle SS in Italia, rilasciò a Don Curzio Nitoglia, suo confessore e consigliere spirituale, pochi mesi prima di morire, nel luglio 2013. Data la sua elevata importanza storica, la redazione di Ardire – sempre attenta nella selezione di documenti e materiali storici – ha optato per una sua pubblicazione integrale.


Sig. Priebke, anni addietro lei ha dichiarato che non rinnegava il suo passato. Con i suoi cento anni di età lo pensa ancora?

Si.

Cosa intende esattamente con questo?

Che ho scelto di essere me stesso.

Quindi ancora oggi lei si sente nazista?

La fedeltà al proprio passato è qualche cosa che ha a che fare con le nostre convinzioni. Si tratta del mio modo di vedere il mondo, dei miei ideali, di quello che per noi tedeschi fu la Weltanschauung e ha ancora a che fare con il senso dell’amor proprio e dell’onore. La politica è un’altra questione. Il Nazionalsocialismo è scomparso con la sconfitta [della Seconda guerra mondiale], e oggi non avrebbe comunque nessuna possibilità di ritornare.

Della visione del mondo di cui lei parla fa parte anche l’antisemitismo…

Se le sue domande sono mirate a conoscere la verità è necessario abbandonare i luoghi comuni: criticare non vuol dire che si vuole distruggere qualcuno. In Germania, sin dai primi del Novecento, si criticava apertamente il comportamento degli ebrei. Il fatto che gli ebrei avessero accumulato nelle loro mani un immenso potere economico e di conseguenza politico, pur rappresentando una parte esigua della popolazione mondiale, era considerato ingiusto. È un fatto che ancora oggi, se prendiamo le mille persone più ricche e potenti del mondo, una notevole parte di loro sono ebrei, banchieri o azionisti di maggioranza di imprese multinazionali. In Germania, specialmente dopo la sconfitta della Prima guerra mondiale e l’ingiustizia dei trattati di Versailles, immigrazioni ebraiche dall’est europeo avevano provocato dei veri disastri, con l’accumulo in pochi anni di immensi capitali da parte di questi immigrati, mentre nella Repubblica di Weimar la grande maggioranza del popolo tedesco viveva in estrema povertà. In quel clima gli usurai si arricchivano e il senso di frustrazione nei confronti degli ebrei cresceva.

Quella che gli ebrei abbiano praticato l’usura ammessa dalla loro religione, mentre veniva proibita ai cristiani, è una vecchi storia. Cosa c’è di vero secondo lei?

Infatti non è certo una mia idea. Basta leggere Shakespeare o Dostoevskij per capire che simili problemi con gli ebrei sono in effetti storicamente esistiti, da Venezia a San Pietroburgo. Questo non vuole assolutamente dire che gli unici usurai all’epoca fossero gli ebrei. Ho fatto mia una frase del poeta Ezra Pound: «Tra uno strozzino ebreo e uno strozzino orfano non vedo nessuna differenza».

A causa di tutto questo lei giustifica l’antisemitismo?

No, guardi, questo non significa che fra gli ebrei non ci siano persone perbene. Lo ripeto: antisemitismo vuol dire odio, odio indiscriminato. Io, anche in questi ultimi anni della mia persecuzione, da vecchio, privato della libertà, ho sempre rifiutato l’odio. Non ho mai voluto odiare nemmeno chi mi ha odiato. Parlo solo di diritto di critica e ne sto spiegando i motivi. E le dirò di più: deve considerare che, per particolari motivi religiosi, una grossa parte di ebrei si considerava superiore a tutti gli altri esseri umani. Si immedesimava nel “Popolo Eletto da Dio” della Bibbia.

Anche Hitler parlava della razza ariana come razza superiore…

Sì, Hitler è caduto anche lui nell’equivoco di rincorrere questa idea di superiorità. Questa è stata una delle cause di errori senza ritorno. Tenga conto comunque che un certo razzismo era la normalità in quegli anni. Non solo a livello di mentalità popolare, ma anche a livello di governi e addirittura di ordinamenti giuridici. Gli americani, dopo aver deportato le popolazioni africane ed essere stati schiavisti, continuavano a essere razzisti, e di fatto discriminavano i neri. Le prime leggi, definite “razziali”, di Hitler non limitavano i diritti degli ebrei più di quanto fossero limitati quelli dei neri in diversi stati americani. Stessa cosa vale per le popolazioni dell’India da parte degli inglesi, e per i francesi, che non si sono comportati molto diversamente con i cosiddetti sudditi delle loro colonie. Non parliamo poi del trattamento subìto all’epoca dalle minoranze etniche nell’ex URSS.

Quindi, secondo lei, in che modo sono peggiorate le cose in Germania?

Il conflitto si è radicalizzato, è andato crescendo. Gli ebrei tedeschi, americani, inglesi e l’ebraismo mondiale da un lato, contro la Germania, che stava dall’altro. Naturalmente gli ebrei tedeschi si sono venuti a trovare in una posizione sempre più difficile. La successiva decisione di promulgare leggi molto dure resero la vita veramente difficile agli ebrei in Germania. Poi, nel novembre del 1938, un ebreo, un certo Grynszpan, per protesta contro la Germania uccise in Francia un consigliere della nostra ambasciata, Ernest von Rath. Ne seguì la famosa “Notte dei cristalli’”. Gruppi di dimostranti ruppero in tutto il Reich le vetrine dei negozi di proprietà degli ebrei. Da allora gli ebrei furono considerati solo e soltanto come nemici. Hitler, dopo aver vinto le elezioni, li aveva in un primo tempo incoraggiati in tutti i modi a lasciare la Germania. Successivamente, nel clima di forte sospetto nei confronti degli ebrei tedeschi – causato dalla guerra – e di boicottaggio e di aperto conflitto con le più importanti organizzazioni ebraiche mondiali, li rinchiuse nei lager, proprio come nemici. Certamente per molte famiglie, spesso senza alcuna colpa, questo fu rovinoso.

La colpa di ciò che gli ebrei hanno subìto, secondo lei, sarebbe quindi degli stessi ebrei?

La colpa è un po’ di tutte le parti. Anche degli Alleati, che scatenarono la Seconda guerra mondiale contro la Germania, a seguito dell’invasione della Polonia, nata per rivendicare territori dove la forte presenza tedesca era sottoposta a continue vessazioni (territori posti dal trattato di Versailles sotto il controllo del neonato Stato polacco). Contro la Russia di Stalin e la sua invasione della restante parte della Polonia nessuno mosse un dito. Anzi, a fine conflitto, sorto ufficialmente per difendere proprio l’indipendenza della Polonia dai tedeschi, fu regalato senza tanti complimenti tutto l’est europeo, Polonia compresa, a Stalin.

Quindi, politica a parte, lei abbraccia le teorie storiche revisioniste?

Non capisco cosa si intenda per revisionismo. Se parliamo del processo di Norimberga del 1945, allora posso dirle che fu un fatto incredibile, un grande palcoscenico creato a posta per disumanizzare, di fronte all’opinione pubblica mondiale, il popolo tedesco e i suoi leader. Per infierire sullo sconfitto oramai impossibilitato a difendersi.

Su che basi afferma questo?

Cosa si può dire di un tribunale autonominatosi che giudica solo i crimini degli sconfitti e non quelli dei vincitori; dove il vincitore è al tempo stesso pubblica accusa, giudice e parte lesa e dove gli articoli di reato erano stati appositamente creati successivamente ai fatti contestati, proprio per condannare in modo retroattivo? Lo stesso presidente americano, John Fitzgerald Kennedy, ha condannato quel processo definendolo una cosa «disgustosa», in quanto «si erano violati i princìpi della costituzione americana per punire un avversario sconfitto».

Se intende dire che il reato di “crimini contro l’umanità”, con cui si è condannato [i tedeschi] a Norimberga, non esisteva prima che fosse contestato proprio da quel tribunale internazionale, c’è da dire in ogni caso che le accuse riguardavano fatti comunque terribili.

A Norimberga i tedeschi furono accusati della strage di Katyn, poi nel 1990 Gorbaciov ammise che erano stati proprio loro stessi, i russi accusatori, ad uccidere i ventimila ufficiali polacchi con un colpo alla nuca nella foresta di Katyn. Nel 1992 il presidente russo Eltsin produsse anche il documento originale contenente l’ordine firmato da Stalin. I tedeschi furono anche accusati di aver fatto sapone con gli ebrei. Campioni di quel sapone finirono nei musei americani, in Israele e in altri paesi. Solo nel 1990 un professore dell’università di Gerusalemme studiò i campioni dovendo infine ammettere che si trattava di un imbroglio.

Certo, ma i campi di concentramento non sono un’invenzione dei giudici di Norimberga…

In quei terribili anni di di guerra, rinchiudere nei lager popolazioni civili che rappresentavano un pericolo per la sicurezza nazionale era una cosa normale. Nell’ultimo conflitto mondiale l’hanno fatto sia i russi che gli americani. Questi ultimi, in particolare, con i cittadini americani di origine orientale.

In America, però, nei campi di concentramento per le popolazioni di etnia giapponese non c’erano le camere a gas

Come le ho già detto, a Norimberga sono state inventate un’infinità di accuse, Per quanto riguarda quella che nei campi di concentramento vi fossero camere a gas, aspettiamo ancora le prove. Nei campi i detenuti lavoravano. Molti uscivano dal lager per il lavoro e vi facevano ritorno la sera. II bisogno di forza lavoro durante la guerra è incompatibile con la possibilità che allo stesso tempo, in qualche punto del campo, vi fossero file di persone che andavano alla gasazione. L’attività di una camera a gas è invasiva nell’ambiente, terribilmente pericolosa anche al suo esterno, mortale. L’idea di mandare a morte milioni di persone in questo modo, nello stesso luogo dove altri vivono e lavorano senza che si accorgano di nulla, è pazzesca, difficilmente realizzabile anche sul piano pratico.

Lei quando ha sentito parlare per la prima volta del piano di sterminio degli ebrei e delle camere a gas?

La prima volta che ho sentito di cose simili la guerra era finita, e io mi trovavo in un campo di concentramento inglese; ero insieme a Walter Rauff. Rimanemmo entrambi allibiti. Non potevamo assolutamente credere a fatti così orribili: camere a gas per sterminare uomini, donne e bambini. Se ne parlò con il colonnello Rauff e con gli altri colleghi per giorni. Nonostante fossimo tutti SS, ognuno con una particolare posizione nell’apparato nazionalsocialista, mai a nessuno di noi erano giunte alle orecchie cose simili. Pensi che, anni e anni dopo, venni a sapere che il mio amico e superiore Walter Rauff, che aveva diviso con me anche qualche pezzo di pane duro nel campo di concentramento, veniva accusato di essere l’inventore di un fantomatico autocarro di gasazione! Cose di questo genere le può pensare solo chi non ha conosciuto Walter Rauff.

 E tutte le testimonianze della esistenza delle camere a gas?

Nei campi le camere a gas non si sono mai trovate, salvo quella costruita a guerra finita dagli americani a Dachau. Testimonianze che si possono definire affidabili, sul piano giudiziario o storico a proposito delle camere a gas, non ce ne sono; a cominciare da quelle di alcuni degli ultimi comandanti e responsabili dei campi, come per esempio quella del più noto dei comandanti di Auschwitz , Rudolf Höss. A parte le grandi contraddizioni della sua testimonianza, prima di deporre a Norimberga fu torturato e dopo la testimonianza per ordine dei russi gli tapparono la bocca impiccandolo. Per questi testimoni, ritenuti preziosi dai vincitori, le violenze fisiche e morali in caso di mancanza di condiscendenza erano insopportabili; le minacce erano anche di rivalsa sui familiari. So per esperienza personale della mia prigionia e quella dei miei colleghi, come, da parte dei vincitori, venivano estorte nei campi di concentramento le confessioni ai prigionieri, i quali spesso non conoscevano nemmeno la lingua inglese. Poi, il trattamento riservato ai prigionieri nei campi russi della Siberia è oramai cosa nota: si doveva firmare qualunque tipo di confessione richiesta, e basta.

Quindi per lei quei milioni di morti sono un’invenzione?

Io ho conosciuto personalmente i lager. L’ultima volta sono stato a Mauthausen nel maggio del 1944 a interrogare il figlio di Badoglio, Mario, per ordine di Himmler. Ho girato quel campo in lungo e in largo per due giorni. C’erano immense cucine in funzione per gli internati e all’interno anche un bordello per le loro esigenze. Niente camere a gas. Purtroppo tanta gente è morta nei campi, ma non per una volontà assassina. La guerra, le condizioni di vita dure, la fame, la mancanza di cure adeguate si sono risolti spesso in un disastro. Però, queste tragedie dei civili erano all’ordine del giorno non solo nei campi, ma in tutta la Germania, soprattutto a causa dei bombardamenti indiscriminati delle città.

Quindi lei minimizza la tragedia degli ebrei, l’Olocausto?

C’è poco da minimizzare: una tragedia è una tragedia. Si pone semmai un problema di verità storica. I vincitori della Seconda guerra mondiale avevano interesse affinché non si dovesse chiedere conto dei loro crimini. Avevano raso al suolo intere città tedesche – dove non vi era un solo soldato – solo per uccidere donne, bambini e vecchi, fiaccando così la volontà di combattere del loro nemico. Questa sorte è toccata ad Amburgo, Lubecca, Berlino, Dresda e tante altre città. Approfittavano della superiorità dei loro bombardieri per uccidere i civili impunemente e con folle spietatezza. Poi è toccato alla popolazione di Tokyo e, infine, con le atomiche, ai civili di Nagasaki e Hiroshima. Per questo era necessario inventare dei particolari crimini commessi dalla Germania e reclamizzarli tanto da presentare i tedeschi come creature del male e tutte le altre sciocchezze: soggetti da romanzo dell’orrore su cui Hollywood ha girato centinaia di film. Del resto, il metodo dei vincitori della Seconda guerra mondiale, da allora, non è molto cambiato: a sentire loro esportano la democrazia con le cosiddette missioni di pace contro le “canaglie”, e descrivono terroristi che si sono macchiati di atti mostruosi, inenarrabili. Ma in pratica attaccano soprattutto con l’aviazione chi non si sottomette. Massacrano militari e civili che non hanno i mezzi per difendersi. Alla fine, tra un intervento umanitario e l’altro nei vari Paesi, mettono sulle poltrone dei governi dei burattini che assecondano i loro interessi economici e politici.

Ma allora certe prove inoppugnabili come filmati e fotografie dei lager come le spiega?

Quei filmati sono un’ulteriore prova della falsificazione. Provengono quasi tutti dal campo di Bergen Belsen. Era un campo dove le autorità tedesche inviavano da altri campi gli internati inabili al lavoro. Vi era all’interno anche un reparto per convalescenti. Già questo la dice lunga sulla volontà assassina dei tedeschi. Sembra strano che in tempo di guerra si sia messo in piedi una struttura per accogliere coloro che invece si volevano gasare. I bombardamenti alleati nel 1945 hanno lasciato quel campo senza viveri, acqua e medicinali. Si è diffusa un’epidemia di tifo petecchiale che ha causato migliaia di malati e morti. Quei filmati risalgono proprio a quei fatti, quando il campo di accoglienza di Bergen Belsen devastato dall’epidemia, nell’aprile 1945, era ormai nelle mani degli Alleati. Le riprese furono appositamente girate, per motivi propagandistici, dal regista inglese Alfred Hitchcock, il maestro dell’horror. È spaventoso il cinismo, la mancanza di senso di umanità con cui ancora oggi si specula con quelle immagini. Proiettate per anni dagli schermi televisivi, con sottofondi musicali angoscianti, si è ingannato il pubblico associando, con spietata astuzia, quelle scene terribili alle camere a gas, con cui non avevano invece nulla a che fare. Un falso!

II motivo di tutte queste mistificazioni, secondo lei, sarebbe coprire i propri crimini da parte dei vincitori?

In un primo tempo fu così. Un copione uguale a Norimberga fu inventato anche dal Generale MacArthur in Giappone con il processo di Tokyo. In quel caso, per impiccare [i giapponesi], si escogitarono altre storie e altri crimini. Per criminalizzare i giapponesi che avevano subìto la bomba atomica, si inventarono all’epoca persino accuse di cannibalismo.

Perché «in un primo tempo»?

Perché successivamente la letteratura sull’Olocausto è servita soprattutto allo stato di Israele per due motivi. Il primo è stato chiarito bene da uno scrittore ebreo figlio di deportati: Norman Finkelstein. Nel suo libro L’industria dell’Olocausto spiega come questa industria abbia portato, attraverso una campagna di rivendicazioni, risarcimenti miliardari nelle casse di istituzioni ebraiche e in quelle dello stato di Israele. Finkelstein parla di «un vero e proprio racket di estorsioni». Per quanto riguarda il secondo punto, lo scrittore Sergio Romano, che non è certo un revisionista, spiega che, dopo la “guerra del Libano”, lo stato di Israele ha capito che incrementare ed enfatizzare la drammaticità della “letteratura sull’Olocausto” gli avrebbe portato vantaggi nel suo contenzioso territoriale con gli arabi e «una sorta di semi immunità diplomatica».

In tutto il mondo si parla dell’Olocausto come atto di sterminio; lei ha dei dubbi o lo nega recisamente?

I mezzi di propaganda di chi oggi detiene il potere globale sono inarginabili. Attraverso una sottocultura storica appositamente creata e divulgata da televisione e cinematografia, si sono manipolate le coscienze, lavorando sulle emozioni. In particolare le nuove generazioni, a cominciare dalla scuola, sono state sottoposte al lavaggio del cervello, ossessionate con storie macabre per assoggettarne la libertà di giudizio. Come le ho già detto, siamo da quasi settant’anni in attesa delle prove dei misfatti contestati al popolo tedesco. Gli storici non hanno trovato un solo documento che riguardasse le camere a gas; non un ordine scritto, una relazione o un parere di un’istituzione tedesca, un rapporto degli addetti. Nulla di nulla. Nell’assenza di documenti, i giudici di Norimberga hanno dato per scontato che il progetto di studio denominato “Soluzione finale del problema ebraico”, che vagliava le possibilità territoriali di allontanamento degli ebrei dalla Germania e successivamente dai territori occupati, compreso il possibile trasferimento in Madagascar, fosse un codice segreto di copertura per il loro sterminio. È assurdo! In piena guerra, quando eravamo ancora vincitori sia in Africa che in Russia, gli ebrei, che erano stati in un primo tempo semplicemente incoraggiati, vennero poi, fino al 1941, spinti in tutti i modi a lasciare autonomamente la Germania. Solo dopo due anni dall’inizio della guerra cominciarono i provvedimenti restrittivi della loro libertà.

Ammettiamo allora che le prove di cui lei parla vengano fuori. Magari un documento firmato da Hitler o da un altro gerarca. Quale sarebbe la sua posizione?

La mia posizione è di condanna tassativa per fatti del genere. Tutti gli atti di violenza indiscriminata contro le comunità, senza che si tenga conto delle effettive responsabilità individuali, sono inaccettabili, assolutamente da condannare. Quello che è successo agli indiani d’America, ai kulaki in Russia, agli italiani infoibati in Istria, agli armeni in Turchia, ai prigionieri tedeschi nei campi di concentramento americani in Germania e in Francia, così come in quelli russi, i primi lasciati morire di stenti volutamente dal presidente americano Eisenhower, i secondi da Stalin. Entrambi i capi di Stato non rispettarono volutamente la convenzione di Ginevra per infierire fino alla tragedia. Tutti episodi, ripeto, da condannare senza mezzi termini, comprese le persecuzioni fatte dai tedeschi a danno degli ebrei, che, indubbiamente, ci sono state. Quelle reali però, non quelle inventate per propaganda.

Lei ammette quindi la possibilità che queste prove, sfuggite ad una eventuale distruzione fatta dai tedeschi alla fine del conflitto, potrebbero un giorno venir fuori?

Le ho già detto che certi fatti vanno condannati in assoluto. Quindi, se poniamo anche solo per assurdo che un domani si dovessero trovare prove su queste camere a gas, la condanna di cose così orribili, di chi le ha volute e di chi le ha usate per uccidere, dovrebbe essere indiscussa e totale. Vede, in questo senso ho imparato che nella vita le sorprese possono non finire mai. In questo caso, però, credo di poterle escludere con certezza, perché per quasi sessant’anni i documenti tedeschi, sequestrati dai vincitori della guerra, sono stati esaminati e vagliati da centinaia e centinaia di studiosi, quindi ciò che non è emerso finora difficilmente potrà emergere in futuro. Per un altro motivo devo poi ritenerlo estremamente improbabile, e le spiego il perché: a guerra già avanzata, i nostri avversari avevano cominciato a insinuare sospetti su attività omicide nei Lager. Parlo della dichiarazione inter-alleata del dicembre 1942, in cui si parlava genericamente di «barbari crimini della Germania contro gli ebrei» e si prevedeva la punizione dei colpevoli. Poi, alla fine del 1943, ho saputo che non si trattava di generica propaganda di guerra, ma che addirittura i nostri nemici pensavano di fabbricare false prove su questi crimini. La prima notizia la ebbi dal mio compagno di corso, e grande amico, Capitano Paul Reinicke, che passava le sue giornate a contatto con il numero due del governo tedesco, il Reichsmarschall Goering: era il suo capo scorta. L’ultima volta che lo vidi mi riferì del progetto di vere e proprie falsificazioni. Goering era furibondo per il fatto che riteneva queste mistificazioni infamanti agli occhi del mondo intero. Proprio Goering, prima di suicidarsi, contestò violentemente di fronte al tribunale di Norimberga la produzione di prove falsificate. Un altro accenno lo ebbi successivamente dal capo della polizia Ernst Kaltenbrunner, l’uomo che aveva sostituito Reinhard Heydrich dopo la sua morte e che fu poi mandato alla forca a seguito del verdetto di Norimberga. Lo vidi verso la fine della guerra per riferirgli le informazioni raccolte sul tradimento di Re Vittorio Emanuele. Mi accennò che i futuri vincitori erano già all’opera per costruire false prove di crimini di guerra ed altre efferatezze che avrebbero inventato sui lager a riprova della crudeltà tedesca. Stavano già mettendosi d’accordo sui particolari di come inscenare uno speciale giudizio per i vinti. Nell’agosto 1944 ho poi incontrato il diretto collaboratore del generale Kaltenbrunner, il capo della Gestapo, generale Heinrich Müller. Grazie a lui ero riuscito a frequentare il corso per allievi ufficiali. A lui dovevo molto e lui era affezionato a me. Era venuto a Roma per risolvere un problema personale del mio comandante, tenente colonnello Herbert Kappler. In quei giorni la quinta armata americana stava per sfondare a Cassino, i russi avanzavano verso la Germania. La guerra era già inesorabilmente persa. Quella sera mi chiese di accompagnarlo in albergo. Essendoci un minimo di confidenza mi permisi di chiedergli maggiori dettagli sulla questione. Mi disse che tramite l’attività di spionaggio si aveva avuto conferma che il nemico, in attesa della vittoria finale, stava tentando di fabbricare le prove di nostri crimini per mettere in piedi un giudizio spettacolare di criminalizzazione della Germania una volta sconfitta. Aveva notizie precise ed era seriamente preoccupato. Sosteneva che di questa gente non c’era da fidarsi, perché non avevano senso dell’onore, né scrupoli. Allora ero giovane e non diedi il giusto peso alle sue parole, ma le cose poi di fatto andarono proprio come il generale Müller mi aveva detto. Questi sono gli uomini, i gerarchi, che secondo quanto oggi si dice avrebbero dovuto pensare e organizzare lo sterminio degli ebrei con le camere a gas! Lo considererei ridicolo, se non si trattasse di fatti tragici. Per questo, quando gli americani nel 2003 hanno aggredito l’Iraq con la scusa che possedeva armi di distruzione di massa, con tanto di falso giuramento di fronte al consiglio di sicurezza dell’ONU del Segretario di stato Colin Powel, proprio loro che quelle armi erano stati gli unici a usarle in guerra, io mi sono detto: niente di nuovo!

Lei, da cittadino tedesco, sa che alcune leggi in Germania, Austria, Francia e Svizzera puniscono con il carcere chi nega I’Olocausto?

Sì, i poteri forti mondiali le hanno imposte e tra poco le imporranno anche in Italia. L’inganno sta proprio nel far credere alla gente che chi, per esempio, si oppone al colonialismo israeliano e al sionismo in Palestina sia antisemita; chi si permette di criticare gli ebrei sia sempre e comunque antisemita; chi osa chiedere le prove dell’esistenza di queste camere a gas nei campi di concentramento, è come se approvasse un’idea di sterminio degli ebrei. Si tratta di una falsificazione vergognosa. Proprio queste leggi dimostrano la paura che la verità venga a galla. Ovviamente si teme che dopo la campagna propagandistica fatta di emozioni, gli storici si interroghino sulle prove, gli studiosi si rendano conto delle mistificazioni. Proprio queste leggi apriranno gli occhi a chi ancora crede nella libertà di pensiero e nell’importanza dell’indipendenza nella ricerca storica. Certo, per quello che ho detto posso essere incriminato, la mia situazione potrebbe addirittura ancora peggiorare, ma dovevo raccontare le cose come sono realmente state, il coraggio della sincerità era un dovere nei confronti del mio Paese, un contributo nel compimento dei miei cento anni per il riscatto e la dignità del mio popolo.


Di Don Curzio Nitoglia

2 commenti

  • Millennium underground

    …Un intervista di elevata importanza storica e che fa pensare!🤔

    • ESATTAMENTE. DOVREBBERO FARLA LEGGERE NELLE SCUOLE, PER PORTARE ‘VERITÀ’. QUELLA VERITÀ CHE GLI ALLEATI HANNO USURPATO E CALPESTATO NEL 1945. GRANDE INTERVISTA. R.I.P. ERICH PRIEBKE

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