9 luglio 1943: Operazione Husky. Lo sbarco alleato e il ritorno della mafia in Sicilia

Il 9 luglio 1943 – giorno dello sbarco anglo-americano in Sicilia – rappresenta una data cruciale per il nostro paese, in quanto segna l’inizio della rinascita della criminalità organizzata e, in particolare, della sua infiltrazione occulta nei gangli istituzionali dello Stato.

I maggiori responsabili di tale manovra furono i servizi d’intelligence americani, che, al fine di prendere possesso della Sicilia e aprire così un nuovo fronte nell’Europa continentale per abbattere il nazi-fascismo, si rivolsero alla criminalità organizzata del boss italo-americano Lucky Luciano, di origini siciliane, il quale – secondo alcuni documenti – preparò il terreno all’invasione dell’isola fornendo uomini e informazioni.

Scrive Alberto Consiglio, ex direttore de Il Mattino di Napoli e autore dell’opera Lucky Luciano (1973):

Gli uomini di Lucky Luciano raccolsero un elenco di persone della malavita e della vecchia mafia, sui quali gli invasori americani avrebbero potuto contare. Ma il lavoro del boss non si limitò solamente a questo: egli fece raccogliere anche un elenco di persone “perbene”, cioè in perfetta regola con la legge, un elenco di “antifascisti” sui quali le forze d’invasione avrebbero potuto fare assegnamento.

Pertanto, si domanda Consiglio: «Quanti esperti gangster siciliani sono stati assoldati dagli Stati Uniti per usarli in Sicilia, e magari paracadutarli prima dello sbarco?».

Difficile dirlo. Quel che è certo è che l’arrivo degli Alleati in Sicilia – il 9 luglio 1943 – coincide con la progressiva rinascita della criminalità organizzata e che senza l’aiuto di questa gli Alleati non sarebbero riusciti a occupare così velocemente l’isola.

Ma in che modo – ci si domanda – gli americani hanno agevolato la rinascita della mafia, e perché?

Scrive a tal proposito Consiglio:

La campagna di occupazione [degli Alleati in Sicilia, chiamata in codice “operazione Husky”] durò trentotto giorni. Man mano che gli Alleati avanzavano in territorio siciliano, la mafia, quasi avamposto dell’invasore, prendeva possesso delle città e dei paesi. Un possesso semi-occulto.

A Villalba, per esempio, piccolo comune a circa 100 chilometri a sud-est di Palermo, venne insediato come sindaco «il famoso, il leggendario, il temutissimo “don Calò”», ossia Calogero Vizzini, considerato «il capo supremo e onnipotente della mafia», nonché referente di Lucky Luciano e fondatore, nel 1944, del Fronte Democratico per l’Ordine Siciliano (FDOS), partito politico d’ispirazione liberale e anti-comunista appoggiato «sottobanco» dai servizi d’intelligence americani.

Ezio Costanzo, autore dell’opera monumentale Mafia e Alleati (2006), ha dichiarato:

L’arrivo degli americani rappresentò per la mafia siciliana una manna dal cielo. Non solo i capi riconosciuti furono nominati sindaci, e quindi legittimati ad esercitare potere, ma fu loro concesso di svolgere impunemente le delittuose attività nei diversi settori controllati dall’AMGOT [Amministrazione Militare Alleata dei Territori Occupati]. Una sorta di ricompensa, da parte degli americani, per la collaborazione fornita dai boss prima e durante l’invasione della Sicilia, ma, soprattutto, un espediente per consentire loro libertà d’azione nella lotta contro gli ideali anticapitalistici [ossia contro il comunismo].

Ma l’invasione della Sicilia, secondo Costanzo, non comportò solamente la rinascita della criminalità organizzata, ma anche la «compenetrazione» fra questa «con i poteri dello Stato», ossia la collusione fra Stato e mafia:

Nella Sicilia ancora percorsa dalle truppe anglo-americane, amministrata dagli ufficiali del governo militare alleato e spiata dagli uomini dell’intelligence americana, la malavita ritrovò l’humus ideale per sviluppare la sua naturale propensione al crimine e avviare quel processo di compenetrazione con i poteri dello Stato che sancì il passaggio tra vecchia e nuova mafia. Dall’America Lucky Luciano aveva inviato illuminanti segnali di questo cambiamento, riguardante principalmente il rapporto con gli uomini dello Stato, da corrompere e non da uccidere, e la gestione degli affari, del business, non più prerogativa delle singole famiglie mafiose, ma della nuova organizzazione chiamata Cosa Nostra, che ne avrebbe pianificato le attività.

In sostanza, è possibile asserire che la cosiddetta “operazione Husky” – contrariamente a quanto si possa pensare oggi – non fu solamente il risultato di una semplice collaborazione occulta fra l’intelligence americana e la criminalità organizzata, onde “liberare” la Sicilia dal nazi-fascismo; essa configurò anzi un nuovo tipo di istituzione fondata sul rapporto intimo fra uomini di Stato e uomini d’onore, secondo le istruzioni e le prerogative del boss Lucky Luciano, al quale fu permesso nel dopo-guerra di tornare in Italia e agire in piena libertà.

Le tragiche conseguenze di tale operazione hanno tuttavia plasmato nel profondo il nostro paese, portando la criminalità organizzata – quasi del tutto estinta durante il Ventennio fascista – ad essere uno dei principali attori della politica italiana del dopo-guerra.


Di Javier André Ziosi

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