Lenin e la filosofia della guerra

Contrariamente a quanto si possa pensare oggi, l’ideologia marxista-leninista non è per niente estranea o avversa alla filosofia della guerra, come alcuni studiosi o intellettuali moderni vorrebbero far credere. Anzi, è noto che Lenin – e con lui tutto il suo entourage – fosse un assiduo lettore di Carl von Clausewitz, generale prussiano noto per aver scritto, nel 1832, Della guerra, uno dei trattati militari più celebri di tutti i tempi, le cui teorie furono definite dallo stesso Lenin «patrimonio incontestabile di ogni uomo pensante».

Ma il capo dei bolscevichi si è spinto oltre la semplice lettura, estremizzando l’idea di von Clausewitz, secondo la quale la guerra non sarebbe altro che la prosecuzione della politica con altri mezzi, e permeandola con l’ideale marxista della lotta di classe. Il generale Carlo Jean, nell’introduzione all’edizione italiana dell’opera Della guerra (Mondadori, 2017), spiega infatti che «il punto di partenza del pensiero marxista-leninista sulla guerra è analogo a quello clausewitziano: la guerra è un fenomeno sociale e rappresenta una continuazione e uno strumento della politica». Tuttavia, Lenin estende «i concetti clausewitziani dal campo propriamente militare a quello della lotta politica, modificandoli con la sua particolare visione della storia. Dà quindi alla formula un senso completamente nuovo, che deriva dalla concezione marxista della lotta di classe».

È lo stesso Lenin ad affermare:

Il nostro atteggiamento di fronte alla guerra è fondamentalmente diverso da quello dei pacifisti borghesi. [Noi] riconosciamo pienamente la legittimità, il carattere progressivo e la necessità delle guerre civili, cioè delle guerre della classe oppressa contro quella che opprime.

E ancora:

Dal punto di vista del marxismo, cioè del socialismo scientifico moderno, la questione fondamentale, per dei socialisti che discutono sulla valutazione da dare a proposito di una guerra e sull’atteggiamento da assumere nei suoi confronti, consiste nell’individuare gli obiettivi per cui questa guerra viene condotta e le classi che l’hanno preparata e diretta. […] pertanto noi non possiamo negare l’eventualità di guerre rivoluzionarie, cioè di guerre derivanti dalla lotta di classe, combattute dalle classi rivoluzionarie e aventi una portata rivoluzionaria immediata.

Per Lenin, dunque, una guerra è giusta solo se di origine proletaria. Egli è infatti convinto che il marxismo – divenuto in Russia, per opera degli stessi bolscevichi, un socialismo militante guerresco e pragmatico, strettamente connesso allo spirito e al sentimento nazionale russo – si debba porre sul terreno della lotta di classe e non invece su quello della pace sociale. Ha spiegato Lenin:

Noi marxisti non siamo avversari incondizionati di ogni guerra. Noi diciamo: il nostro scopo è l’instaurazione di un assetto sociale socialista che, sopprimendo la divisione dell’umanità in classi ed eliminando ogni sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo e di ogni nazione da parte di altre nazioni, sopprimerà immancabilmente ogni possibilità di guerra in generale. Ma nella lotta per il regime socialista ci troveremo […] in condizioni in cui la lotta di classe all’interno di ogni singola nazione dovrà fare i conti con una guerra tra diverse nazioni generata dalla stessa lotta di classe.

Agli occhi del leader bolscevico, il classismo diviene quindi lo strumento per preparare il terreno alla vera e propria guerra civile («Il marxista ha il dovere di porsi sul terreno della guerra civile», ammise lo stesso Lenin) e giungere così all’affermazione del socialismo. In altre parole, solo attraverso la guerra, ossia l’azione armata scaturita dalla lotta di classe, è possibile – secondo Lenin – distruggere radicalmente il sistema capitalistico borghese, responsabile dello sfruttamento e dell’oppressione del proletariato, e imporre finalmente la pace nel mondo. Una pace che, però, pare più utopia.

Per concludere, non sarebbe del tutto errato considerare il leninismo, ossia la dottrina rappresentante il comunismo archetipico russo, una sorta di “marxismo clausewitziano”, un connubio esplosivo di idee sociali e filosofia della guerra che, seppur con le sue innumerevoli contraddizioni e impurità, rimane ancora oggi una delle ideologie più discusse e originali della storia.


di Sergio De Rensis

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